I deputati italiani hanno diritto ad estendere l'assistenza sanitaria integrativa anche ai conviventi more uxorio dello stesso sesso. La richiesta era stata presentata un mese fa dal deputato del Partito Democratico Ivan Scalfarotto, che aveva ripreso la medesima richiesta, presentata nel corso della precedente legislatura dalla deputata del PD Anna Paola Concia. Il provvedimento dell’Ufficio di Presidenza di fatto equipara la situazione dei deputati a quella di altri dipendenti che usufruiscono di una simile assistenza, in cui non si fa distinzione di sesso quando si parla di conviventi. E’ un piccolo significativo passo verso il riconoscimento dei diritti delle coppie gay. Ci aveva provato per cinque anni Anna Paola Concia, aspettando invano. I deputati hanno un fondo autonomo integrativo interamente, finanziato con trattenute mensili sui loro stipendi. E’ un fondo autonomo come ce ne sono tantissimi che è appunto integrativo. A questo fondo possono iscrivere, pagando una quota aggiuntiva, i figli o il coniuge o il convivente. La decisione presa ieri dall’Ufficio di Presidenza è stata quella di eliminare una restrizione: cioè ritenere che i conviventi possano essere solo eterosessuali. Si tratta dell’ennesimo privilegio che si concedono i parlamentari oppure no? Non ci interessa dibattere se è un adeguamento al paese reale, dove ai fondi integrativi ognuno iscrive chi vuole. Ma ci chiediamo a quando una legge che estenda a tutti i cittadini i diritti a scegliersi con chi vivere, chi amare, chi sposare: insomma una legge per tutti i cittadini che dia anche dei diritti di convivenza e libertà di sposare chi si vuole. Ci piace qui ricordare che il Parlamento non è un’ azienda, che deve decidere solo per i propri membri, ma un organo di rappresentanza che, deve approvare leggi che sanciscano diritti per tutti. Tocca al Parlamento dimostrare che non si è trattato di un ipocrita gay pride di Palazzo.
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