L’accordo, chiamato impropriamente “a sostegno dell’occupazione”, imposto da Intesa Sanpaolo con la complicità dei sette sindacati tappetino, più di un autogol, rappresenta una pesante sconfitta per tutta la categoria dei bancari, stracciando e modificando di fatto il CCNL. Fabi, Fiba, Uilca, con i loro “gregari”, si sono arrogati il diritto di svendere gli interessi di una intera categoria e portano delle pesanti responsabilità nei confronti di tutti i lavoratori bancari italiani. Confidiamo che quest’ultimi sappiano riconoscere i loro veri interessi e anche identificare coloro che, in cambio dei loro privilegi, si dimostrano disponibili a calpestarli senza ritegno, senza vergogna e senza neanche consultarli:
una bella lettera per dimettersi da queste organizzazioni asservite non sarà mai troppo tardiva!
Riassumiamo le puntate precedenti ed il contenuto dell’accordo, degno prodotto di anni massacranti di fusioni, condotte dalle principali aziende del settore con la delicatezza di uno schiacciasassi e subite dai sindacati trattanti con totale passività, senza mai chiamare ad uno sciopero, ad una mobilitazione, ad un’assemblea. L’azienda scrive gli accordi, i sindacati chiedono per favore di cambiare qualche virgola, e voilà, il piatto è servito. La strategia delle aziende è emersa con chiarezza fin da subito: rottamare con gli esodi più lavoratori possibile, sostituirli solo parzialmente con giovani apprendisti, usare a piacimento i tempi determinati, fare cassa vendendo i gioielli di famiglia, cedere le attività non strategiche con i lavoratori inclusi. Per tagliare i costi e sostenere i profitti non sono ammesse esitazioni: si accentrano i lavori nei back office, si peggiora il servizio alla clientela, si accorpano servizi e funzioni, si mette in crisi la rete e la struttura organizzativa.
L’obiettivo centrale rimane però il costo del lavoro e le sue tutele residue. E’ lì che bisogna incidere.
Già a ottobre era emersa la proposta di assumere giovani in aree depresse a condizioni scontate rispetto al CCNL. Le delegazioni trattanti aziendali tentennarono e rinviarono alle segreterie nazionali la decisione, sostenendo che si trattava di una questione troppo rilevante per essere di propria competenza. Fabi e Fiba però erano per il sì, così come la Uilca, a certe condizioni. La Fisac rifiutò di accettare tutto il pacchetto, ma sembrava poter aprire su una singola deroga rispetto alle tre richieste. L’azienda premeva, rilanciando a inizio gennaio e ricattando i sindacati in forma ufficiale (sulla concessione dei part-time, sulla conferma dei tempi determinati in scadenza) e in forma ufficiosa (col nuovo accordo da rinegoziare sulle “agibilità sindacali”, cioè i permessi per i sindacalisti). Il 2 febbraio i sette firmano un accordo che prevede la creazione di tre siti di back office a Lecce, Potenza e L’Aquila, con 100/150 addetti ciascuno, ed uno a Torino per attività ausiliarie, per 100 lavoratori in c.i.g. o mobilità.
Queste le condizioni:
- Inquadramento A2 L2 nel primo biennio, A2 L3 nel secondo biennio con taglio salariale del 20% sul
trattamento economico del CCNL e taglio del 20% sul premio aziendale e tutto questo dopo aver beneficiato di sgravi fiscali e contributivi per assunzioni di cassintegrati.
- Orario di lavoro di 40 ore settimanali (si torna agli anni sessanta!), 37 ore e 30 minuti per chi fa i turni, su sei giorni, dalle 6 alle 22, senza pagamento di indennità.
- Gli apprendisti potranno essere liberamente trasferiti al momento dell’assunzione a tempo indeterminato perché per loro non varrà il limite dei 50 Km: una conferma sotto ricatto?
- Il periodo di apprendistato non sarà considerato utile per il calcolo di scatti di anzianità ed automatismi economici.
- Buono Pasto ridotto a 3,50 euro.
- Contributo previdenziale dell’azienda ridotto all’1% nel primo anno e al 2% dal secondo anno.
- Polizza sanitaria per il primo biennio e adesione ad una Cassa Sanitaria del Gruppo solo dopo 2 anni.
- Fruizione obbligatoria delle ex-festività, pena decadenza senza pagamento.
Risultato: per i lavoratori un taglio effettivo delle competenze di più del 30% per l’azienda una diminuzione dei costi di più del 40%
L’accordo viene spacciato come fattivo contributo alla tenuta occupazionale da parte della “banca di sistema”, nello spirito etico e sociale che la anima, ed i sindacati firmatari usano addirittura l’argomento della solidarietà intercategoriale, oltre i recinti corporativi, per giustificare il proprio “coraggio” nella scelta epocale di accettare le condizioni capestro imposte dalla controparte.
Al di là di queste ingannevoli e false affermazioni, in realtà, va fatta un po’ di chiarezza persino sui numeri.
Nei titoloni viene “sparata” la cifra di 600 nuove assunzioni, mentre il testo dell’accordo parla di 100 assunzioni a Torino e 100/150 negli altri tre siti: il totale potrebbe arrivare a 550, ma anche fermarsi a 400. Un contributo davvero risibile alla soluzione del problema dei 4 milioni di precari a rischio licenziamento e dei 2 o 3 milioni (dipende dai criteri usati per misurarli) di disoccupati senza prospettive concrete. Nel contempo l’azienda lascerà a casa circa 600 tempi determinati, perché dei circa 1000 in scadenza solo 400 verranno confermati a tempo indeterminato.
Risultato: i dipendenti dell’azienda, invece di aumentare, diminuiranno e costeranno di meno!
Inoltre nessuna traccia dei 450 apprendisti che avrebbero dovuto essere assunti in base all’accordo sugli esodi, per sostituire il personale uscito a fine 2009. Nessuna traccia neppure dell’accordo sul Consorzio: non avevano garantito che, in caso di cessione, i lavoratori sarebbero rientrati? Che l’accordo avrebbe tutelato i nuovi assunti che avrebbero avuto le stesse condizioni dei “vecchi”? L’azienda non aveva dichiarato pubblicamente che le Torri di Brasov sarebbero servite solo per le operazioni estere? Adesso l’azienda insiste nel voler cedere 395 lavoratori di Banca Depositaria, assume a condizioni derogate e manda le operazioni italiane in Romania. Ancora una volta l’azienda non rispetta i patti, impunemente e con l’avallo implicito di certi cosiddetti sindacati!
E’ un’azienda che incasserà 1.740 milioni di euro da State Street per Banca Depositaria, che intende incassarne almeno altrettanti dalla quotazione di Fideuram, che vuole ritornare a distribuire ricchi dividendi agli azionisti già dalla prossima primavera, ma che non rinuncia a speculare sulla disastrosa situazione economica e sociale, per applicare condizioni salariali e normative scandalosamente diverse dal trattamento riservato ai suoi manager. Un esempio di dumping sociale che anche le altre banche vorranno applicare: Unicredit ha già chiesto condizioni analoghe, con ulteriori aggiunte!
Siamo allo smantellamento del CCNL pezzo per pezzo!
Nel frattempo, vengono fissati budget commerciali stratosferici, da raggiungere con i soliti metodi e da calare nelle filiali di una rete stravolta dalla riorganizzazione continua e dalle direttive contraddittorie e confuse, con organici insufficienti e strategie commerciali inadeguate alla situazione di mercato. L’insistenza ossessiva sull’automazione evoluta (una sostanziale bufala) e sull’accentramento delle lavorazioni (che fa aumentare il lavoro e peggiora il servizio) è l’evidente premessa per l’annuncio del tutto arbitrario su presunti ulteriori 2.500/3.000 posti di lavoro in esubero!
E’ un modello di gestione che punta solo a tagliare, anziché mirare all’espansione dei ricavi, del fatturato, dei servizi e prodotti innovativi, delle capacità professionali vere, dei profitti sostenibili. E’ un modello di gestione che si integra con una impostazione sindacale subalterna, disponibile a firmare accordi al ribasso, a farsi carico del taglio dei costi, a contrattare il peggioramento, a ridurre il sindacato a mero esecutore degli ordini aziendali. E’ un sindacato che cambia ruolo: non più rappresentante di interessi contrapposti, ma semplice appendice, obbediente, della Direzione del Personale.
La Fisac non ha firmato ed ha fatto un comunicato duro: ma dove è stata in questi ultimi tre anni? Come ha fatto a condividere tutte queste ingiustizie senza mai proferire verbo? Quanti rospi ha trangugiato prima di decidersi a sputare quello più indigeribile?
Si dice che non è mai troppo tardi, speriamo sia vero anche stavolta. Questa deriva va fermata, l’accordo separato appena firmato mina la tenuta dell’intero impianto del contratto nazionale (in scadenza a fine anno), svuota nei fatti il principio di un’unica area contrattuale (per cui abbiamo fatto 100 ore di sciopero 20 anni fa). Mai come ora la coerenza deve diventare resistenza attiva.
Occorre aprire la discussione tra i lavoratori, superare la rabbia, l’indignazione, la rassegnazione, l’impotenza dei colleghi, dare spazio e prospettive alle loro esigenze. Occorre reagire.
Va consolidata l’idea che si può fare sindacato senza essere asserviti, si deve ampliare l’area di chi osa resistere ai diktat aziendali: il rifiuto di questo pessimo accordo può diventare l’occasione da cui iniziare un percorso di mobilitazione, di lotta, di riconquista. Gli obiettivi della vertenza sono chiari: stabilizzare tutti i contratti in scadenza, assumere gli apprendisti rispettando gli accordi, riassorbire i lavoratori di Banca Depositaria, fare rientrare le lavorazioni appaltate, comprese quelle che vanno in Romania e creare giusta occupazione senza sfruttare la disperazione sociale.
Rimandiamo al mittente le panzane che i firmatari vanno raccontando! Nessuno può regalare ai banchieri i nostri diritti! Ci sarà sempre qualcuno disposto a lavorare a meno! Paga uguale per uguale lavoro! Nessuna discriminazione tra i lavoratori! Nessuna cessione ai ricatti!
..….… Reclamiamo le elezioni delle RSU e la diminuzione delle retribuzioni dei manager! ...........
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. - Federazione di Roma