Una bocciatura senza appello quella che arriva dall'OCSE alla spending review, targata Cottarelli, applicata alla spesa sanitaria pubblica.
Nel merito la nota, curata dalla Divisione Salute dell'OCSE, non ci dice nulla di più che già non sia parte consistente delle nostre battaglie a difesa del diritto alla salute e al welfare:
• L'Italia ha una spesa sanitaria pubblica oltre un terzo inferiore alla media dei paesi dell'area euro considerati nella spending review, e il divario è triplicato dall'inizio degli anni 2000 (12% nel 2000, 36% oggi);
• Il livello di prestazioni sanitarie erogate in Italia è sensibilmente inferiore alla quasi totalità degli altri paesi dell'area euro considerati: 73% in meno di quelle tedesche, 64% di quelle olandesi e 48% di quelle francesi;
• L'andamento della spesa sanitaria pubblica dal 2009 è in linea con l'andamento della spesa pubblica totale, come nella maggior parte degli altri paesi.
Il giudizio chiama naturalmente in causa tutti i governi che si sono succeduti, almeno dal 2000 ad oggi, e che hanno prodotto oltre 25 miliardi di tagli alla sanità pubblica, tradotti in mancati finanziamenti, taglio dei servizi (60.000 posti letto in meno), aumento dei ticket (4 miliardi annui a carico dei cittadini), allungamento delle liste d'attesa ecc; ma il monito alla spending review sanitaria e per estensione, diciamo noi, al Patto per la salute che si appresta a tagliare ulteriori 10 miliardi chiarisce, semmai ce ne fosse bisogno: la situazione di crescente svantaggio in cui versa il SSN rispetto ai sistemi sanitari di altri maggiori paesi europei; il rischio di esacerbare le differenze osservate con ulteriori ripercussioni sull'accesso, in particolare dei gruppi più svantaggiati, sui livelli e sulla qualità dell'assistenza sanitaria.
Vale la pena ricordare che per "gruppi svantaggiati", come li chiama l'OCSE facendo uso spregiudicato dell'eufemismo, si intende il 15% della popolazione italiana; una cifra destinata a crescere non per colpa di un destino cinico e baro ma come diretta conseguenza delle politiche d'austerità imposte dall'Unione Europea, dalla Banca Centrale e da quel FMI di cui Cottarelli è fedele servitore!
Ma quello che più dovrebbe colpire della nota OCSE, oltre al risalto di una certa incompetenza dell'italica "classe dirigente", è la stroncatura di uno degli architrave della spending review: il famigerato Benchmark (parametro di riferimento) assurto, insieme ai costi standard, a mantra salvifico delle casse italiane.
Dice l'OCSE che: il Benchmark proposto (5,25% del PIL) per la spesa sanitaria pubblica non è compatibile con il modello di SSN esistente in Italia. In particolare la scelta di un indicatore di spesa sanitaria in rapporto al PIL non è particolarmente utile nel confronto tra i paesi a reddito elevato. La definizione di un Benchmark svincolato da considerazioni relative alla natura della spesa sanitaria può portare a sottostimare le conseguenze delle riduzioni di spesa proposte.
Del resto, già ora che la spesa sanitaria italiana rappresenta il 7,05% del PIL, contro il 7,28% della media dei paesi dell'Eurozona, si rileva che lo scostamento relativamente modesto nella percentuale di spesa sanitaria rispetto al PIL tra Italia e altri paesi europei, cela differenze di portata molto maggiore nei livelli effettivi di spesa, anche tenendo conto dei rispettivi livelli dei prezzi.
Già la metà basterebbe, ma è il crescendo finale che più di tutto chiarisce: il Benchmark non trova corrispondenza nei paesi ai quali l'Italia si può paragonare, per livello di sviluppo economico e sociale, e per modalità di organizzazione del sistema sanitario. Nell'intera area OCSE (30 paesi) sono solo 6 i paesi che hanno una spesa pubblica inferiore al 5,25% del PIL (Cile, Corea, Polonia, Estonia, Ungheria e Lussemburgo). In generale questo valore non può essere considerato un riferimento per valutare la congruità della spesa pubblica in campo sanitario.
Non ci sarebbe molto d’aggiungere se non che dentro questo rapporto OCSE c'è molto di più dello stato e delle scelte future del servizio sanitario pubblico di questo Paese.
C'è' la stroncatura di un metodo pseudoscientifico che dietro a inglesismi e apparente rigore tecnico nasconde come unico scopo la volontà di fare cassa sui servizi essenziali e sulla pubblica amministrazione sui quali si accanisce con la spending review; ci sono anni di cazzate sulla presunta insostenibilità di un welfare che invece si vuole smantellare per regalare ulteriori profitti a privati, banche e assicurazioni; ci sono anni di politiche liberiste praticate dai governi di centrodestrasinistratecnici in sprezzo ai ceti popolari, costretti a pagare una crisi che non hanno prodotto.
Ma parla anche a chi, come noi, da sempre resiste e difende i servizi pubblici; ci dice che è ora di intensificare il conflitto, renderlo visibile, coinvolgere i cittadini, non solo per difendere il poco welfare rimasto ma per conquistarne di più e di nuovo.
Lottare contro la spending review si deve: ce lo chiede l'Europa!
4/04/2014 USB Pubblico Impiego