LUNEDI 30 MARZO ORE 16.30 TUTTI IN CONSIGLIO COMUNALE PER IL BLOCCO DEGLI SFRATTI
MARTEDI 31 MARZO ORE 8.30 PRESIDIO ANTISFRATTO VIA BROCCAINDOSSO 54
Liberazione 29/03/09
Nel capoluogo emiliano per l'affitto si spende fino al 70% dello stipendio o della pensione
Sotto sfratto per morosità, tenta il suicidio
Storie ordinarie di emergenza casa a Bologna
di Benedetta Aledda
«Ero disperata, mi sentivo presa in giro e quella notte ho tentato il suicidio, ma non è andata come speravo». Chi parla è una donna di 43 anni di origine marocchina che da 13 vive in Italia. Abita da sola in un bilocale nel centro di Bologna, ma ha ricevuto lo sfratto perché, da quando ha perso il lavoro, non è più riuscita a pagare l'affitto. Il 18 marzo ha cercato di togliersi la vita ingoiando tutti i farmaci che aveva in casa. Era stata dimessa da poco quando, il 27 marzo, l'ufficiale giudiziario si è presentato nella sua abitazione per eseguire lo sfratto, rinviato al 31 di questo mese. «Sono appena tornata dall'ospedale, non tengono conto di come sto», protesta la donna, stanca e incredula di essere trattata ancora una volta con così poca «umanità». Vuole restare anonima, per non farsi cattiva pubblicità con eventuali datori di lavoro.
«Questa persona nel giro di pochi mesi, a causa di problemi socio-sanitari, con una invalidità del 60%, perde il lavoro e accumula morosità», spiega in una nota Asia-RdB. L'associazione di inquilini e assegnatari del sindacato di base venerdì scorso ha sostenuto la donna con un presidio sotto casa sua. Martedì ne farà un altro, anticipato da un sit-in davanti al Comune il 30 marzo, per provare a incontrare gli assessori alla Casa e alle Politiche sociali, a cui il sindacato aveva già chiesto di riconoscere «l'emergenza abitativa» della signora. A metterla alla porta è stato un proprietario che aveva urgenza di tornare in possesso del mini-appartamento, nonostante abbia «52 immobili di cui 31 abitazioni», fa notare il sindacato.
Finora l'unica proposta che la donna ha ricevuto è stata quella di un posto letto a 200 euro al mese in una struttura pubblica, una condizione che «non è adeguata al suo stato psico-fisico, come attestato dai certificati medici», denuncia Asia-RdB. Dal 2000, infatti, è seguita dai medici per una depressione.
Il suo è uno degli «oltre mille casi di sfratto per morosità già passati in giudicato e ora in esecuzione», spiega Lidia Triossi di Asia-RdB. Secondo lo studio presentato la settimana scorsa dal Sunia-Cgil, fra i nuclei familiari che vivono in affitto il 20,5% è composto da una sola persona, una donna nel 58% dei casi. A Bologna, secondo il Sunia, le famiglie con un solo reddito da lavoro dipendente ne spendono fra il 50 e il 70% per l'affitto. In effetti, la protagonista del caso denunciato da Asia racconta: «Con le pulizie guadagnavo non più di 800 euro al mese e 600 servivano a pagare l'affitto». Per questo ha provato a cambiare lavoro. L'occasione sembrava arrivare dalla proposta di fare la governante in un albergo del centro. «Mi sono licenziata dalla ditta di pulizie per cui stavo lavorando e ho accettato il lavoro in albergo, ma, dopo ventuno giorni come governante, la padrona dell'albergo mi ha detto che non avevo superato la prova. Eppure avevo già lavorato per 6 anni come cameriera ai piani. Credo che le abbia dato fastidio il fatto che avevo da ridire su come tenevano la sala della colazione e la cucina, con l'affettatrice sul pavimento». Così la donna ha perso tutto.
Ora vive con una borsa-lavoro del Comune che scade ai primi di aprile e che non è bastata a saldare i conti dell'affitto. Si è sentita dire dall'assistente sociale che deve assumersi le proprie responsabilità per aver lasciato il lavoro nelle pulizie e questo proprio non va giù a chi ha sempre accettato ogni genere di impiego «senza vergogna, anche se ho studiato giurisprudenza, perché sono stati lavori onesti e dovevo cavarmela da sola, perché non sono sposata e mantengo mia madre anziana che vive in Marocco ed è ammalata. Volevo chiedere il ricongiungimento familiare, ma ormai, non ho più un lavoro, una casa...».
I colloqui con l'assistente sociale sono diventati una fonte di stress ulteriore: «Mi ha detto: "Se stai così male, perché non torni al tuo paese, così ti riposi un po'". Come si permette?», si chiede la donna, delusa da una figura da cui si aspettava comprensione. «Lo dicono spesso e non solo agli stranieri», spiega Triossi di Asia e chiarisce: «Con alcuni assistenti sociali riusciamo a collaborare, ma molti si preoccupano di aprire meno casi sociali possibile, perché solo il 15% del patrimonio di edilizia residenziale pubblica è riservato all'emergenza abitativa», una fetta sempre più insufficiente in un periodo in cui gli sfratti per morosità sono destinati a crescere, visto che sono in aumento le famiglie che dedicano al canone mensile buona parte dello stipendio, della pensione o dell'assegno di cassa integrazione.