Ormai è ufficiale, l’ARAN, rispolverando una pratica temporaneamente e parzialmente abbandonata, ha fatto propria la versione CGIL sulla ridefinizione dei comparti di contrattazione.
La conferma di ciò l’abbiamo avuta mercoledì 3 quando, dopo che il Presidente dell’ARAN ha illustrato la proposta (enti locali, sanità, amministrazioni centrali, scuola università e ricerca), l’intervento della CGIL si è limitato sostanzialmente ad uno scarno “per noi va bene così”, abbandonando di colpo tutti i distinguo, le posizioni politiche sui contratti e sulle risorse, sull’assetto della contrattazione, che avevano animato i loro interventi nelle precedenti riunioni.
Quindi l’ARAN e la confederazione che maggiormente ha perso nelle ultime elezioni RSU stanno decidendo le sorti contrattuali dei lavoratori del pubblico impiego.
E gli altri?
La CISL, pur senza particolare entusiasmo, sembra essersi stranamente accodata, cedendo all’idea balzana di una ipotetica filiera della conoscenza (bruttissima definizione) e al fatto che questa abbia senso a livello contrattuale.
La USB e quasi tutti gli altri sindacati hanno sostanzialmente rifiutato questa ipotesi. La domanda è se l’ARAN terrà conto di quanto espresso al tavolo oppure se, in questa rinnovata luna di miele con la CGIL, lo ignorerà.
Le ricadute negative, se questa ipotesi dovesse concretizzarsi, sono tante. Innanzitutto, la cancellazione, se non immediata a brevissimo, del comparto degli enti di ricerca. Scusate se è poco.
Poi quelle più dirette sui lavoratori; per spiegarle caso citiamo l’articolo del 3 febbraio di Gianni Trovati sul Sole 24 ore riguardo al Comparto Ministeri ma perfettamente attribuibile anche al comparto SCUOLA-UNIVERSITÀ-RICERCA-AFAM che la FLC vuole costruire:
La geografia è però solo il problema più superficiale…, la prima riguarda direttamente le buste paga dei dipendenti pubblici. Il compartone nazionale riunirà infatti amministrazioni molto diverse fra loro…, caratterizzate da livelli retributivi molto distanti e da regole parecchio differenziate nella distribuzione fra stipendio tabellare e accessorio, nelle regole della produttività e così via. Comparto unico, però, nella PA significa anche contratto nazionale unico, e i 300 milioni finora messi sul piatto per i nuovi contratti non permettono nemmeno di ipotizzare un riallineamento immediato che costerebbe miliardi a meno di non voler tagliare le buste paga delle amministrazioni oggi caratterizzate da retribuzioni più “ricche”. L'alternativa studiata in queste settimane dall'Aran prevede allora di avviare un allineamento graduale, che parte dalle regole base del rapporto di lavoro come la disciplina di ferie e malattie…….
Quindi omogeneizzazione dei nuovi comparti a partire dai livelli salariali e, in un contesto nel quale si stanziano cinque euro lordi mensili per il rinnovo del contratto, è facile immaginare che il livellamento sarà verso il basso, producendo una perdita secca nelle buste paga dei lavoratori della ricerca. Non solo. Si potrebbe in questo modo avvalorare anche un’ipotesi di vigilanza di tutti gli enti sotto il MIUR, che a giudicare dallo stato della Scuola e degli enti già MIUR sarebbe un’ulteriore iattura. Basti pensare che tra gli Enti di Ricerca, quelli vigilati dal MIUR (ente pagatore) si ritrovano i salari accessori più bassi; annoverano le peggiori condizioni, chiamate dirette e licenziamenti dei precari storici sono pratica consolidata da tempo. E la carta dei ricercatori? Carta straccia in un comparto dove la logica è quella aziendale dei presidi manager, dominato dalla logica della valutazione brunettiana.
Insomma, i danni sarebbero tanti sia per i lavoratori che per il sistema Paese. La CGIL sta perseguendo un’ipotesi sciagurata di ridefinizione dei comparti per risolvere problemi propri, infischiandosene delle conseguenze che tale iniziativa determinerebbe.
Se si vuole davvero preservare la Ricerca Pubblica in questo Paese, va difesa l’identità anche contrattuale del settore e l’unico modo è quello di creare un comparto Università, Ricerca e AFAM. Come quarto comparto o come quinto attraverso una modifica normativa nella riscrittura del testo unico sul pubblico impiego che tenga conto, almeno per una volta, della funzionalità delle riforme e non solo dell’impatto mediatico. Perché il CCNL è strumento della funzionalità del compito che ci viene assegnato come dipendenti pubblici.
Se invece qualcuno deciderà che il comparto della Ricerca non debba più esistere allora tutte le opzioni sono possibili, compresa una divisione degli enti.
I giochi si stanno facendo in questi giorni e nessuno potrà lamentare la mancanza di informazione! Ora ogni singolo lavoratore della ricerca che ritenga un pericolo per il proprio ruolo e per il proprio salario il comparto scuola deve dare il proprio contributo alla difesa del comparto facendo pesare la propria opinione presso quei sindacati, FLC CGIL e CISL, che ci vogliono nella scuola, arrivando, qualora fosse ancora iscritto, alla propria cancellazione.
Noi Brunetta lo abbiamo sempre combattuto e lo continueremo a combattere anche se assume le sembianze della Madia. Perché combattiamo una politica sul settore pubblico che non bada alla funzionalità, ma è attenta unicamente soddisfare gli appetiti di chi vorrebbe azzerare tutto ciò che è pubblico.
La difesa di un comparto per la Ricerca Pubblica, non è difesa corporativa, ma sottende un’idea di pubblico nel quale la ricerca rappresenta una piccola, ma preziosissima risorsa per l’intero Paese. Risorsa da valorizzare a partire da chi ci lavora.
USB PI - Ricerca