Ci risiamo. Ogni qualvolta un pezzo di società si riprende il diritto di parola scattano gli anatemi, le minacce, la repressione.
Quanto accaduto il 14 a Roma, in occasione della fiducia al governo Berlusconi è molto semplice e lineare. Gli studenti e i precari, e con loro alcuni altri pezzi del blocco sociale aggredito da questo e dai governi precedenti, è sceso in piazza e, alla notizia della fiducia a Berlusconi, ha reagito come avrebbe reagito chiunque si fosse trovato nella matematica certezza di non avere più un futuro su cui scommettere e per cui studiare e lavorare.
Ora su quanto accaduto si sono spesi fiumi di inchiostro ed altri se ne spenderanno in questa settimana e in quelle a seguire, fiumi di inchiostro che hanno portato con se anche deliri e invocazioni che riecheggiavano già negli anni venti e per tutta la durata dell’era fascista. Un commento è del tutto superfluo, nessuna parola potrebbe ben rappresentare lo sdegno e lo schifo che tali deliri sollevano.
Noi crediamo che gli studenti avessero ragione a ribellarsi e continuino ad averla. La riforma Gelmini porta con se il totale stravolgimento del modello attuale che, pur non rappresentando il miglior modello di scuola e di università possibile, però ha ancora un tratto democratico, non classista, non censuario.
Se poi, a partire dal 14, si tenta di criminalizzare la giusta rivolta che ha fatto della città di Roma il teatro più vivido della rappresentazione della abissale distanza tra il potere e la gente comune, ancor più ci convinciamo della necessità di raccogliere, come lavoratori e come sindacato conflittuale, il testimone che i giovani studenti ci consegnano.
Noi saremo in piazza con loro. Il 22 dicembre dovrà essere giornata in cui in piazza ci siano le richieste di futuro dei giovani e quelle di lavoro dei precari, quelle di salario e di reddito delle famiglie che non arrivano più alla fine del mese come quelle di chi non ha più le risorse per pagare un mutuo o un affitto.
Crediamo però che vada dato un segnale ancora più forte ed unitario, coniugando e mettendo in relazione le esigenze di giustizia, di futuro, di cultura, di salario, di reddito, di diritto all’abitare e alla cittadinanza convocando, assieme a tutti coloro che le risposte a tale esigenze ritengono non più rinviabili, un momento generale e generalizzato di lotta e di sciopero, che non attenda salvifiche proclamazioni da parte di chi, seppur lo facesse, lo farebbe unicamente per salvarsi l’anima e non per contribuire davvero a trasformare lo stato delle cose presenti.