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1° CONGRESSO NAZIONALE USB 2013

CONGRESSO DELL'ASIA: COSTRUIRE IL SINDACATO DEGLI ABITANTI

Roma,

Si è tenuto ieri 7 aprile a Roma il 5° Congresso dell’AS.I.A., questo appuntamento si è collocato all’interno della fase congressuale della Unione Sindacale di Base, alla quale l’AS.I.A. è confederata.

Il 7, 8 e 9 giugno si concluderà questa fase, con il Congresso nazionale confederale che si terrà a Montesilvano.

E’ con lo slogan “Rovesciare il tavolo” che l’USB va a questo 1° Congresso per rilanciare la necessità, nel nostro paese, del sindacato generale e conflittuale, che deve essere uno strumento di emancipazione e cambiamento, che deve rappresentare un'alternativa valida all’inutile e dannoso sistema sindacale concertativo messo in campo fino ad oggi

 

 

L’AS.I.A. con l'approvazione del proprio documento vuole dare il suo contributo per rilanciare una nuova stagione dei diritti, per riconquistare reddito e il potere decisionale da parte degli abitanti, per rappresentare le nuove esigenze sociali nelle città e nei territori.

 


Documento approvato all’unanimità al Congresso Nazionale del 7 aprile che si è svolto a Roma.

L’ASIA DIVENTA IL SINDACATO DEGLI ABITANTI.

Si è tenuto ieri 7 aprile a Roma il 5° Congresso dell’AS.I.A., questo appuntamento si è collocato all’interno della fase congressuale della Unione Sindacale di Base, alla quale l’AS.I.A. è confederata, che si concluderà con il primo Congresso il 7, 8 e 9 giugno.

L’AS.I.A. vuole dare il suo contributo per rilanciare una nuova stagione dei diritti, per riconquistare reddito e il potere decisionale da parte degli abitanti, per rappresentare le nuove esigenze sociali nelle città e nei territori.

Snocciolare dati sull’emergenza abitativa potrebbe apparire utile per comprendere l’esatta dimensione del problema. Però noi non abbiamo solo la necessità di chiarire l’entità di un fenomeno, ma quanto siamo in grado di cogliere la portata di ciò che sta attraversando ceti sociali larghi e diversi.

Stiamo parlando di 5 milioni di famiglie in affitto alle prese con un incremento dei canoni del 105% nelle aree urbane negli ultimi vent’anni. Con un’incidenza dell’affitto sul reddito di almeno tre volte superiore il canone sostenibile. Il peggioramento della situazione coincide perfettamente con la messa in vigore della legge 431 del 1998 che avrebbe dovuto regolare il mercato della casa in Italia e che invece ha consegnato nelle mani del libero mercato e della rendita il futuro urbanistico/alloggiativo del paese. L’introduzione di questa nuova legge sugli affitti ha coinciso con il blocco quasi totale del finanziamento dell’edilizia popolare o sociale (a fine anni 80 si costruivano ogni anno in Italia circa 32.000 alloggi popolari contro i 1.900 nell’anno 2004, fino progressivamente alla completa scomparsa dell’E.r.p. in questi ultimi anni). I fondi dell’ex-Gescal, che ancora sono a disposizione delle Regioni e della Cassa Depositi e Prestiti, non vengono utilizzati per affrontare l’emergenza casa, ma vengono spesi solo per favorire una politica privatistica di gestione dell’edilizia pubblica, come abbiamo fatto emergere nel Lazio dove i soldi dell’agevolata (il così detto housing sociale), destinati ad affrontare l’emergenza casa, venivano spesi in realtà per far crescere i profitti delle imprese-cooperative, che hanno truffato gli inquilini. Questo ha rappresentato sostanzialmente il piano casa nazionale dei 20.000 alloggi in housing sociale varato dal governo negli anni scorsi.

Tutti questi fattori insieme hanno prodotto un allargamento delle aree di disagio con 11,5 milioni di persone coinvolte. Situazione destinata a peggiorare venendo meno la funzione di ammortizzatore sociale delle famiglie e con milioni di giovani precari e disoccupati esclusi completamente dal mercato degli alloggi. La crisi inoltre produce licenziamenti e cassa-integrazione cosicché altri soggetti si avviano a diventare morosi e insolventi.

Gli sfratti resi esecutivi in Italia negli ultimi qauttro anni sono circa 250mila, stanno aumentando vertiginosamente quelli per morosità ma anche i casi degli inquilini che non accettano le proposte di rinnovo dei contratti con l’aumento degli affitti. Sono 56mila le famiglie che solo nel 2011 hanno avuto un provvedimento di sfratto per morosità. In cinque anni gli sfratti per morosità sono aumentati del 64%. Solo a Roma nel 2011, 4.678 provvedimenti di cui 2.343 eseguiti; mentre a Torino sono 2.523 per morosità, a Napoli 1.557 e a Milano 1.151. La difficoltà ad arrivare a fine mese e anche ad onorare il canone d’affitto, riguarda l’87% dei casi di sfratto nella media nazionale, con picchi che superano il 90% in molte regioni del Nord, dove la crisi economica ha intaccato radicalmente la struttura economico-sociale di molte città.

Ma la crisi non ha modificato solo la situazione degli sfratti: più di mezzo milione di italiani, che sono stati costretti ad accendere mutui per l’acquisto dell’alloggio dove abitano, sono in difficoltà a pagare le rate, stanno diventando insolventi e rischiano di vedersi portar via la casa.

Questa situazione che coinvolge larghe fette di inquilinato dimostra con evidenza come l’idea di un paese fatto da proprietari di case sia miseramente fallita. Il libero mercato sta gestendo drammaticamente gli ultimi vent’anni e la crisi attuale non fa che aumentare la profondità del disagio abitativo. Quando la casa diviene perlopiù un bene di scambio e oggetto di compravendite speculative, tramonta l’idea dell’alloggio come bene d’uso e il diritto proprietario si scontra direttamente con la necessità primaria di ogni individuo di avere un tetto sulla testa. Qui interviene la fase resistente di chi vede messo in pericolo un titolo e la propria dignità e di fatto il conflitto diviene insanabile, trasformando ogni soggetto in emergenza alloggiativa in un occupante “sine titulo”. Uguale dunque a chi occupa per necessità stabili e alloggi vuoti.

Milioni di abitanti sono dunque alle prese con un abitare critico e rappresentano una potenziale rete in aperta rottura con le politiche abitative pubbliche e con la bulimia edilizia della rendita.

È chiaro che i processi partecipativi dentro le trasformazioni urbanistiche risultano inadeguati se non inutili.

In 40 anni, dal 1971 al 2010, 5 milioni di ettari sottratti alla destinazione agricola. Una superficie pari alla Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna. La cementificazione dal 2001 al 2011 è salita nel Nord-Est del 7,8%, nel Nord-Ovest dell’8,7%, nel Centro dell’8,2% e nel Meridione del 10,2%. In Basilicata l’incremento è del 19%, nel Molise del 17%, in Puglia del 13%, in Liguria del 2,4%. Infine gli insediamenti di Monza/Brianza aumentano del 54%, a Napoli del 43%, a Milano del 37%, a Varese del 29%, a Trieste del 28%, a Padova del 23%, a Roma del 20%, a Como e Treviso del 19%, a Prato del 18%.

Per questo il Governo Monti pur non cambiando passo sulle politiche legate alle grandi infrastrutture, alle grandi opere e ai grandi eventi, ha fatto un’operazione estetica con il Ddl Catania che ha messo un tetto annuo al consumo di suolo, alla distruzione del paesaggio e dell’agricoltura. Una riduzione del danno che vede insorgere le Regioni, soprattutto nella figura di Errani, interessatissime invece ad una monetizzazione delle aree pubbliche. Basti guardare all’aumento della cementificazione della pianura padana pari al 16,4% soprattutto caratterizzata dal proliferare di capannoni industriali, con l’Emilia Romagna che insieme alla Lombardia, al Veneto, alla Campania e al Friuli Venezia Giulia appare quella messa peggio. Il terremoto che ha colpito ultimamente l’Italia trova riscontro immediato nelle tragedie che provoca un dissennato e criminale uso di aree e materiale non idoneo.

Ad una minore crescita demografica corrisponde un maggior consumo di suolo, con 100 ettari al giorno (10 m2 al secondo) che se ne vanno in fumo e in un anno si riesce ad impermeabilizzare un’area grande il doppio di Milano, così che il 7,3% della superficie italiana è cementificata in maniera irreversibile (una regione grande come la Toscana). Quindi palazzi vuoti, abusivismo e una gestione del territorio bulimica dal punto di vista edilizio, con le amministrazioni, i costruttori e i sindacati della cogestione a braccetto dentro un’ipotesi sviluppista della crisi, con un modello di sviluppo che viene perpetuato nonostante il suo fallimento e la sua devastante orma sull’ambiente e sulle nostre vite.

I processi di cartolarizzazione e la vendita del patrimonio pubblico aumentano poi i meccanismi di finanziarizzazione delle politiche urbanistiche e abitative, con le conseguenze che tutti noi conosciamo fatte da sfratti, insolvenze e sgomberi. La Spagna di Rajoi è l’emblema attuale della crisi immobiliare e delle tragedie che si addensano intorno alla precarietà alloggiativa. Un definitivo game over è più che necessario, é imperativo.

Dentro un linguaggio comune che allude e realizza strategie di riappropriazione si moltiplicano i luoghi della cospirazione più imprevedibili, che legano occupanti e squatter di stabili vuoti all’inquilinato resistente degli enti privatizzati o di altri istituti e casse. Una genìa di abitanti meticcia e potenzialmente in grado di sovvertire lo stato di cose attuale. Comunità di ribelli che puntano sul riuso delle città e dei territori, sul riciclo e sul mutualismo.

Contro la precarietà di vita si propone un’abitare nella crisi dove orti, edifici dismessi, aree demaniali impongono nuove sovranità territoriali che dialogano con chi resiste allo sfratto, all’aumento dell’affitto, ai pignoramenti, alla voracità criminale della rendita.

In questo senso l’AS.I.A. deve divenire qualcosa di più di un sindacato che tutela gli inquilini. Può e deve trasformarsi in uno strumento più efficace, in grado dentro le città e nei territori di rappresentare le nuove emergenze sociali che ruotano intorno alla condizione abitativa e più in generale guardare ad una qualità della vita degna. Deve porre all’attenzione - con forza - la difesa del patrimonio pubblico, il tema del riutilizzo delle case sfitte e la pubblicizzazione di quello soggetto a cartolarizzazioni o a valorizzazioni, a cominciare da quello degli Enti previdenziali e dei Fondi. Oggi le necessità della rendita devono mettere mano in profondità al consumo di suolo e la sua messa a valore rappresenta il nuovo orizzonte del profitto capitalista, per questo il conflitto aumenta laddove si limita il potere decisionale degli abitanti e si metta in produzione l’intera vita di ognuno in relazione ad uno sviluppo urbanistico condizionato dagli interessi delle banche e dei signori del mattone e dell’acciaio. Difendere perciò l’inquilino e dimenticare enormi fette di popolazione escluse dalle scelte, dai diritti e dalla vita degna è un po’ come difendere i lavoratori tralasciando le sacche di precarietà e di disoccupazione che non sanno come organizzarsi perché non c’è un sindacato che li raggiunge. O un po’ come preoccuparsi e battersi per 10 euro di aumento in busta paga, quando fuori gli affitti e le bollette salgono insieme ai ticket sanitari e al costo per libri e vestiario, o per i beni di prima necessità come il mangiare. Se non si arriva a fine mese si diventa morosi, insolventi, senza titolo, senza dignità.

Se agli abitanti noi diciamo di non pagare la crisi è con loro in senso largo che dobbiamo parlare. Con dentro la realtà migrante, sempre più in prima fila nella difesa dei diritti, negati o ridotti sia a loro che agli autoctoni. Non parliamo quindi di cittadinanza ma di qualcosa di più includente e largo: l’abitare degno può divenire il nuovo spazio di libertà e di giustizia sociale in grado di rompere schemi consolidati di organizzazione e tutela che rischiano di dividere più che unire.

La critica profonda alla legge 431 del 1998 che regola il mercato della casa in Italia deve accompagnarsi anche con il rifiuto della logica della riduzione del danno. Bisogna con estrema chiarezza affermare che strumenti come il bonus casa, la graduazione degli sfratti e la cogestione nelle dismissioni, si sono rivelati dei boomerang pazzeschi contro gli interessi e i bisogni dell’inquilinato. Le norme sulle quali battersi oggi non possono discriminare nessuno e soprattutto non possono essere i sindacati, attori protagonisti di queste strategie, che distruggono il diritto alla casa e rafforzano la proprietà privata e la speculazione immobiliare.

E' fondamentale in tal senso riaprire una forte battaglia sulla riduzione degli affitti in relazione all'incidere della crisi delle banche sui redditi e alla rinegoziazione dei mutui prima casa partendo dalla necessità di non pagare i costi dell'impoverimento generale della società.

Entrambe possono partire in primo luogo proprio dall'interno di USB e dalle problematiche che molti iscritti al sindacato hanno sull'abitare e divenire forte elemento di ricomposizione dal posto di lavoro al territorio.

Riaprire una stagione di ripubblicizzazione non sarà facile. Ma non mettersi in quest’ottica e pensare di sopravvivere solo gestendo la crisi anche disponendosi positivamente dentro le strategie di vendita e valorizzazione del patrimonio pubblico, è da considerarsi complementare al mercato e complice più che concertativi. Quindi coloro che oggi accettano di trattare per ottenere briciole e qualche privilegio sono oggettivamente un problema per tutti coloro che si battono per il diritto all’abitare, quindi la necessità di un percorso indipendente e conflittuale, in rete con altri e altre che sui territori e nelle città condividono questa lettura, diviene il nostro modulo di lavoro e le bandiere degli abitanti resistenti devono sventolare insieme a quelle NoTav e a quelle per l’acqua pubblica.

Marzo 2013

Associazione Sindacale degli Inquilini e degli Abitanti