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Editoriale

Cosa c'è dietro la tanto decantata "vittoria" di Enrico Letta in Europa


Il 28 giugno Enrico Letta, al termine del vertice Ue che ha assegnato i fondi del piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, affermava: "Oggi c'è da sorridere, perché abbiamo vinto, raggiungendo un risultato positivo". Anche il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, mostrava entusiasmo nel commentare i risultati ottenuti sui temi di sua competenza: "Straordinario risultato" che "conferma la bontà della strategia messa in campo dal Governo, vincente".

Ma c'è veramente da sorridere? A parte il dato sottolineato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che "abbiamo speso 700 miliardi di euro per salvare le banche e ora, dopo tanta esitazione, stanziamo solo 6 miliardi per la disoccupazione giovanile", ci sono almeno tre dati rilevanti sui quali riflettere per capire che non c'è proprio niente di cui rallegrarsi.

Il primo dato è l'attenzione fuorviante verso la disoccupazione giovanile. Vengono diffusi dati allarmanti sulla disoccupazione per la fascia d'età compresa tra i 15 e i 24 anni, con percentuali che superano il 50-60% in paesi come la Grecia o la Spagna. La percentuale non viene però calcolata sull'intera popolazione appartenente a quella fascia d'età, ma solo sui partecipanti al mercato del lavoro che ovviamente a quell'età sono molto meno (in Europa siamo ad una media del 10%). Questo dato, che è stato recentemente sottolineato da Daniel Gros, non viene utilizzato a caso ma serve a concentrare le risorse nel campo della flessibilità in entrata, affinché le nuove misure per la deregolamentazione del mercato del lavoro vengano vissute come utili a combattere la disoccupazione giovanile. La disoccupazione invece riguarda una fascia d'età assai più ampia, oltre i 30, i 40 e finanche i 50 anni, e la sua crescita esponenziale è legata al fatto che si stanno perdendo decine di migliaia di posti di lavoro.

Il secondo dato è, appunto, il nuovo assalto al diritto del lavoro. Dopo il via libera del pacchetto lavoro da parte del Consiglio dei ministri lo scorso 26 giugno, sono state definite le linee del decreto che prevede il finanziamento a favore dell’occupazione giovanile prevalentemente nel Mezzogiorno di circa 1,5 miliardi di euro. Si tratta del biglietto da visita con il quale Letta si è presentato al vertice europeo qualche giorno dopo. In questo spicca l'abrogazione del divieto di proroga del contratto “acausale”quello cioè che non indica la causale (le motivazioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo che giustificano l’indicazione di un termine al contratto) per i giovani fino a 29 anni. In precedenza l’acasualità era prevista solo per il primo anno, ora non ci sono più limiti. In sostanza le aziende possono assumere a termine senza limitazioni purchè questo venga riconosciuto nei contratti collettivi. Un altro grimaldello per trasformare in precario tutto il lavoro che c'è e quello che ci sarà.

Il terzo dato è che, ancora una volta, si agisce nella direzione di rendere più accattivante l’assunzione di giovani grazie ad una sempre maggiore flessibilità in entrata senza agire sulla domanda di lavoro, ridurre l'orario e rilanciando una nuova politica industriale. Le modifiche alle norme sull'apprendistato, il bonus all'azienda che assume un disoccupato della parte di Aspi ancora da percepire, la decontribuzione fino a 650 euro a lavoratore che viene elargita alle aziende che assumono a tempo indeterminato nel sud non si tradurranno in posti di lavoro stabili, ma in semplici risparmi per le aziende che già avevano in progetto di assumere o escamotage per ridurre le spese.

Infine, gli annunci di Letta sui fondi strappati all'Europa si riferiscono in gran parte alla riprogrammazione di fondi europei già stanziati e che le Regioni non sono state capaci di spendere. L'Italia vanta una cronica incapacità ad utilizzare i fondi che le assegna l'Europa e questo ha già comportato una loro riduzione  a fronte di una contribuzione del nostro paese alle casse della UE che invece è rimasta inalterata. Insomma paghiamo tanto e prendiamo poco, e i soldi che versiamo sono ovviamente prelevati dalla fiscalità generale, cioè in prevalenza dei lavoratori.

Conclusione: le nuove misure sul lavoro insieme alla riprogrammazione dei fondi europei hanno la chiara finalità di aumentare la ricattabilità dei lavoratori e la libertà di agire delle imprese. La disoccupazione, purtroppo, non scenderà, né quella giovanile né quella generale. Cresceranno invece l'indignazione e il desiderio di rivolta. L'autunno si avvicina.