Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

cronache ferroviarie 4

Napoli,

EDITORIALE

Sicurezza

Ancora uno speciale sullo stato della sicurezza nei nostri posti di lavoro

Dopo lo speciale di ottobre, dedicato all’incidente

di questa estate avvenuto sulla Circumvesuviana,

riprendiamo i motivi e gli argomenti che ci

avevano spinto a trattare isolatamente quell’avvenimento:

il cosiddetto “errore umano” e la “tragica fatalità”.

Due termini che spesso vengono usati per assolvere

chi, nell’organizzazione del lavoro, dovrebbe

invece assicurare che determinati eventi non avvengano;

ma nella cultura della prevenzione degli infortuni

e degli incidenti sul posto di lavoro si lascia

troppo spazio al “destino” o al “fattore umano” piuttosto

che spendere (nel senso letterale del termine)

per evitare la scia di sangue e morti comune a tutto il

mondo del lavoro in Italia.

Per un Presidente della Repubblica che alza il

volume della sua voce istituzionale per pretendere la

sicurezza per chi lavora fa da contrappunto un Ministro

dell’Economia che sostiene che quella sicurezza,

sui posti di lavoro, in Italia non ce la possiamo permettere.

Anche se in questi giorni siamo tutti, giustamente,

attratti dal gran rumore che fanno le indiscrezioni,

le voci, i sussurri sul prossimo contratto ricordiamoci

di chi ha già perso il diritto a un lavoro sicuro,

a tornare a casa da chi lo aspetta.

Ricordiamocene quando dovremo lottare per

non perdere quel poco che ci rimane ancora da difendere.

Scendiamo da quel treno che viaggiava sulla

Circumvesuviana di Napoli e volgiamo il nostro

sguardo ai binari, a quegli uomini che stanno lavorando

sulle rotaie, a quei nostri compagni di lavoro

nell’esercizio ferroviario.

Roberto Testa

In questo numero:

SICUREZZA

..................................................................2

I lavoratori della manutenzione

..............2

pag. 1 di 6

numero 4/2010

SPECIALE

SICUREZZA

I lavoratori della manutenzione

Incontriamo un gruppo di lavoratori e delegati della Manutenzione Infrastrutture - Lavori e

Impianti Segnalamento: con loro ci conosciamo bene dai tempi dellʼAssemblea Nazionale

dei Ferrovieri, durante il licenziamento di Dante De Angelis, e dai tristi giorni in cui si formò

il Comitato per la Verità sulla morte di Massimo Romano

Domanda: Volete ricordarci chi era Massimo?

Risposta: Massimo era un nostro collega del

Tronco Lavori di Monterotondo DTP Roma, aveva

moglie e due figli di 8 e 12 anni, quando è morto

travolto da un treno sulla linea Roma-Fara Sabina

aveva 46 anni. Era di Avellino e fu assunto in RFI

nel 2005, proveniente da una società che gestiva per

conto di FS i passaggi a livello; aveva dunque lunga

esperienza del mondo ferroviario anche se in quel

particolare settore. La mattina del 15 novembre

2006 si trovava con un martello pneumatico sulla

massicciata intento a demolire una passerella in

asfalto che attraversava il binario, un’attività propedeutica

al risanamento della massicciata che sarebbe

avvenuto nei giorni successivi ad opera della

ditta SALCEF, altri suoi compagni erano impegnati,

lì vicino, sul binario attiguo in mansioni di scorta

alla stessa ditta che stava procedendo con altre lavorazioni

già in corso. Quando è sopraggiunto il

treno Massimo si trovava sul lato esterno del binario,

su un tratto all’uscita di una curva, ed è stato

colpito alla testa dal predellino del locomotore rimanendo

ucciso sul colpo; stava lavorando senza

che fosse stata predisposta la protezione prevista

dall’Istruzione Protezione Cantieri. Un fatto assurdo

eppure, allo stesso tempo, non unico né raro nell’attuale

scenario operativo della Manutenzione Infrastrutture,

in cui registriamo uno svuotamento degli

impianti per il mancato turn-over degli operatori,

frutto di una politica occupazionale in linea con il

massiccio processo di esternalizzazione delle attività.

D: Cosa è cambiato da quei giorni del 2006? Si

sono verificati altri incidenti con dinamiche simili?

R: Quando parliamo di attuale scenario operativo

intendiamo un progetto aziendale iniziato diversi

anni fa e che puntava ad una struttura operativa

di esercizio “leggera”, appunto con personale e

risorse strumentali ridotti all’osso; questo processo

ha avuto esito compiuto in una organizzazione del

lavoro che di fatto si è persa dei pezzi per strada: in

fatto di qualità del servizio prodotto e, cosa assai più

dolorosa, sulla sicurezza dei lavoratori. Le attività di

manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria sono

regolamentate da norme con rigidi criteri per la protezione

degli operatori, soprattutto quando queste si

svolgono in regime di circolazione treni; sulla carta

il meccanismo ha una sua compiutezza che lascerebbe

poco o niente spazio all’incidente ma, in funzione

del fatto che la protezione presuppone l’impiego

“improduttivo” di certe quantità di operatori, in

certi casi la prassi si è dovuta conformare alla sintesi

della seguente contraddizione: “o ci si protegge o

si lavora”, e si è quindi oggi consolidata nella mediazione:

con un occhio si lavora con l’altro ci si

protegge. La riduzione drastica di personale a fronte

dell’aumento della circolazione treni nelle fasce diurne

ha determinato l’incremento delle lavorazioni

notturne e in orario straordinario con la conseguente

riduzione dei tempi di riposo tra prestazione successive

e anche un utilizzo contrattualmente illegittimo

del personale che viene spostato alla bisogna

da un impianto all’altro. Il risultato è che dal 2006

ad oggi, solo nella Direzione Territoriale Produzione

Roma, altri tre colleghi sono morti sul lavoro in

circostanze analoghe a quelle di Massimo Romano e

numerosi incidenti anche gravi e pericolati d’incidente

continuano a verificarsi. Nella dimensione nazionale

dell’azienda abbiamo avuto negli ultimi 4/5

pag. 2 di 6

anni 34 ferrovieri della manutenzione morti sul lavoro;

quasi un incidente mortale al mese!

Allora, capisci da solo che cosa è cambiato, e

soprattutto in quale senso, dalla morte di Massimo

ad oggi!

D: Quanti di questi incidenti sono: “errore

umano” o “tragica fatalità”, riconducibili alle classiche

espressioni di autoassoluzione di chi gestisce

l’organizzazione del lavoro?

R: Già all’indomani dell’incidente in cui è

morto Massimo, in azienda son cominciate a girare

versioni che gli imputavano una responsabilità più o

meno diretta sui fatti. Versioni strampalate e contraddittorie

che alle nostre orecchie sono suonate

subito come un allarme di pericolo depistaggio delle

indagini e insabbiamento delle vere responsabilità.

Questa strategia ha toccato l’apice dello squallore

quando è cominciata a circolare la voce insinuante

che Massimo stesse lavorando direttamente al soldo

della ditta Salcef, per cui si sarebbe assunto delle

gravissime responsabilità trasgredendo alle regole

dell’azienda. L’assurdo era che si trattava appunto

di voci (la cosiddetta voce della rotaia) che circolavano

in modo trasversale dagli ambiti apicali a

quelli più esecutivi dell’azienda, stratificando false

convinzioni soprattutto (ma questo era l’obiettivo

della strategia) tra i lavoratori stessi. Rispetto a questo

fatto non si può sorvolare su una considerazione,

e cioè che la supposta azione di depistaggio si compiva,

e solo così poteva essere, nella quasi totale assenza

di un intervento delle organizzazioni sindacali.

Nella DTP Roma lavoravano nel 2006 circa 1.700

ferrovieri (oggi ridotti a più o meno 1.200) sparsi su

un territorio che abbraccia due regioni (Lazio e

Abruzzo); né all’indomani dell’incidente né tantomeno

nei mesi successivi fu organizzata almeno

un’assemblea informativa tra i lavoratori; un vuoto

enorme. In questo scenario partendo dalla volontà

di alcuni membri delle RSU/RLS è nato il “Comitato

per la verità sulla morte del ferroviere Massimo

Romano”, una struttura associativa libera che ha

raccolto nel tempo molte adesioni tra i ferrovieri,

altri lavoratori, associazioni dei familiari dei morti

sul lavoro, con lo scopo di contribuire ad acclarare

responsabilità ed evitare l’oblio sulla storia del nostro

collega. Sia detto per inciso che noi siamo convinti

del nesso causale tra organizzazione del lavoro

e infortuni dei lavoratori, la tesi dell’errore umano è

una mistificazione dei fatti grossolana anche alla

semplice luce della legislazione in materia; è civilmente

talmente naturale il diritto di un umano a

sbagliare senza che questo debba costargli la vita o

l’amputazione di un arto o chissà cosa, che la responsabilità

del datore di lavoro è centrale nella

gran parte delle leggi per la sicurezza dei lavoratori

(tenendo a parte il discorso sulle malattie professionali).

Purtroppo ciò è si necessario ma non sufficiente

di fronte al disarmo delle organizzazioni dei lavoratori

e all’attacco congiunto di governi e impresa

al diritto del lavoro. Le successive riorganizzazioni

delle FS in senso privatistico (ricerca ossessiva dell’abbattimento

dei costi) hanno generato delle strutture

produttive in cui è scemata la garanzia della sicurezza,

per chi lavora sopra i treni o sui binari, e in

cui si è diffusa una brutta cultura di tolleranza dei

rischi.

D: Ci sono state cause giudiziarie o processi

che hanno stabilito le responsabilità in questa lunga

catena di morti che ci avete raccontato?

R: A poco più di un anno dalla morte di Massimo

Romano ancora a Roma abbiamo avuto un altro

atroce incidente mortale: Anthony Forsight, un

apprendista di 26 anni, la notte del 10 dicembre

2007 restò travolto da un Eurostar a Torricola, sulla

linea Cassino, sbalzato contro un palo della linea

elettrica morì quasi sul colpo. Era stato chiamato a

mezzanotte in reperibilità per un guasto, e il suo impegno

di lavoro complessivo nella giornata aveva

superato il limite consentito in assenza del riposo di

almeno 8 ore consecutive. Anche qui si parlò subito

di sue responsabilità, perché, correva voce, stesse

camminando vicino al binario. Ma noi lavoriamo

sui binari! Il fatto che stesse isolato e non protetto

pur essendo apprendista non suscitò grandi interropag.

3 di 6

gativi nell’inchiesta interna e lo stesso processo non

ha visto finora nessun imputato, né di rango apicale

né altro. Ci fu anche un tentativo

di archiviazione sventato

dal legale dei familiari e

il processo è ancora in corso.

Per la morte di Massimo

sono stati invece imputati

due dirigenti, un capo impianto

e un operaio. In

udienza preliminare, a distanza

di quasi tre anni dall’incidente, il più alto dei

due dirigenti, il direttore compartimentale cioè il datore

di lavoro, è stato prosciolto e invece rinviati a

giudizio gli altri tre: ad oggi non ha ancora avuto

inizio l’iter dibattimentale del processo. Bruno Pasqualucci,

collega di 62 anni prossimo alla pensione,

rimase travolto da un mezzo d’opera durante

l’inizio delle lavorazioni la notte del 23 ottobre scorso,

era alla sua terza prestazione notturna consecutiva

nella settimana. È morto il 25 novembre dopo

un mese di agonia in ospedale: il processo deve ancora

iniziare e non risultano essere stati indagati dirigenti

o altri, e stando alle nostre informazioni non

ve ne saranno; ergo Bruno è colpevole della sua

stessa morte sul lavoro. La notte del 18 dicembre

scorso il nostro collega del servizio IS di Rocca Secca

Armando Iannetta di 57 anni morì sul colpo travolto

da un treno sulla Roma - Napoli durante un

intervento di reperibilità, un incidente fotocopia di

quello occorso ad Anthony Forsight: anche in questo

caso si è subito parlato di un suo comportamento

colposo; il processo deve ancora iniziare e ufficialmente

non si sa nulla dell’inchiesta aziendale, ancora

una volta il vuoto enorme dell’assenza d’intervento

sindacale. Per capire bene queste dinamiche

aziendali è istruttivo il caso di Motta S. Anastasia:

due colleghi del servizio Lavori furono investiti e uccisi

sui binari nei pressi della stazione; il giorno

stesso, con folgorante tempismo, l’A.D. Moretti dettò

un’agenzia stampa in cui si diceva testualmente: “…

ora capiamo perché i ferrovieri finiscono sotto il treno:

perché non rispettano la normativa di sicurezza

emanata dalla società…”. Si riferiva al fatto che la

squadra stava operando

senza aver esposto le tabelle

di segnalamento prescritte

dall’Istruzione Protezione

Cantieri e probabilmente

con un sistema di protezione

inadeguato. Ma quello che,

naturalmente, ometteva in

quella nota stampa è che,

come già detto, tali prassi operative sono diventate

da tempo una necessità dovuta alla scarsità cronica

di personale, cosa di cui i dirigenti territoriali, ma

anche quelli centrali, sono ben a conoscenza essendo

ciò il risultato del progetto aziendale di “alleggerimento”

organizzativo di cui sopra. Inoltre tra le

RSU/RLS si trova ancora qualcuno che da anni si

sta sgolando a dire che così non si può lavorare (a

Roma siamo anche riusciti a far sanzionare l’azienda

per il mancato rispetto della legge sui riposi), ma

nel complesso l’azienda è blindata dietro un muro di

gomma che il sindacato e ormai anche i lavoratori,

in qualche modo, contribuiscono a tenere in piedi.

Tornando a Motta S. Anastasia gli unici imputati

(poi condannati), sono stati due colleghi dei ferrovieri

morti. Siamo fortemente convinti che per sconfiggere

questa filosofia bisogna combattere gli atteggiamenti

di conformismo che vigono nella nomenclatura

aziendale e sindacale, nonché tra i lavoratori

stessi; bisogna ripartire dalla volontà e dalla

capacità dei singoli di battersi per una nuova visione

di civiltà del lavoro.

D: In un vostro intervento sulla Newsletter passata

avete parlato di esternalizzazioni e politiche solo

di facciata di riacquisizione delle lavorazioni. Quanto

può incidere una scelta di questo tipo sul mantenimento

degli standard di sicurezza?

R: Il tema dell’esternalizzazione delle attività è

centrale nel confronto delle relazioni industriali, e

ciò è naturale visto che incide pesantemente sui livelli

occupazionali interni ad RFI. Ad ogni grande

pag. 4 di 6

appuntamento di trattativa nazionale, vuoi per rinnovi

di contratto o per la stipula di accordi quadro,

si parla di reinternalizzare attività. Ma la cosa ormai

è divenuta farsesca e abbiamo capito che gli obiettivi

di reinternalizzazione aziendale convergono su

quelle attività che le società private non trovano più

convenienti economicamente. Per esempio nel nostro

settore il livellamento sistematico del binario è

una delle attività che si vorrebbe riacqusire; possiamo

dire con certezza che per una ditta privata, la

quale cerca il massimo profitto d’impresa, questa

attività è sconveniente in quanto, a fronte della scarsa

disponibilità delle fasce di interruzione della circolazione

treni, le possibilità d’intervento con questi

macchinari costosissimi si frammentano e ciò produce

una diseconomia organizzativa che il privato

non accetta. Questa è la realtà, ma si continua a

spacciare questa riacqusizione di attività come una

grande vittoria che tra l’altro l’azienda non riesce a

gestire per mancanza di mezzi e risorse umane necessarie.

Siamo pronti a scommettere sul fatto che

ciò produrrà una scadenza dei livelli di manutenzione

dell’infrastruttura e porterà a nuovi e più convenienti

(per il privato) contratti d’appalto. L’espansione

del privato nelle attività di manutenzione ferroviaria

ha inciso negativamente sugli standard di

sicurezza, che molto dipendono anche dalla specificità

della normativa che regola le procedure di specifiche

attività. I ferrovieri sono tutti abilitati attraverso

corsi di formazione all’esecuzione delle mansioni

da svolgere, e fanno riferimento ad un contratto

che è specifico delle attività ferroviarie. Il privato

entra in questo mondo con maestranze che fanno

riferimento contrattuale alle più disparate categorie

merceologiche (dall’edile al metalmeccanico passando

per il commercio, più varie ed eventuali), e

per di più sottoposte alle pressioni economico-organizzative

degli obiettivi di profitto della ditta; chi ha

visto il film del regista inglese Ken Loach, “Paul,

Mick e gli altri”, si è potuto fare un idea precisa di

tutto questo. Teniamo presente che la penetrazione

del privato nelle attività ferroviarie è un preciso progetto

politico nel nostro Paese e che ciò corrisponde

ad una volontà di abbattere i livelli di tutela dei ferrovieri,

con l’accettazione implicita della scadenza

degli standard di sicurezza sul lavoro. Nel transitorio

di questa progettualità si genera la brutta cultura

della in-sicurezza di cui parlavamo prima.

D: Apprendistato: in RFI, come d’altronde in

tutta la holding FS, c’è un grosso incremento dell’uso

di questo strumento contrattuale. Quali risvolti

determinano sulle lavorazioni che eseguite e sul sistema

di sicurezza del lavoro che le deve proteggere?

Un lavoratore in condizione di apprendistato professionalizzante

può essere un anello debole nella

catena della sicurezza e perché?

R: Nel contesto organizzativo che abbiamo genericamente

delineato l’inserimento di giovani in

contratto di apprendistato è assolutamente fraudolento.

Un apprendista, soprattutto in un settore ad

alta incidenza di rischi, dovrebbe essere considerato

uno di più sull’organico necessario allo svolgimento

delle attività, che sia in affiancamento per tutta la

durata del suo contratto. Invece attenendosi solo genericamente

alla legge (ma anche questa è lacunosa

per lo specifico ferroviario) l’azienda procede ormai

ad assunzioni (con il contagocce) esclusivamente

con contratti d’apprendistato, sfrutta le convenienze

economiche di questa tipologia contrattuale, inserisce

questi giovani in impianti con fortissime carenze

d’organico e quindi li utilizza alla stregua di un

qualsiasi ferroviere a tempo indeterminato, facendo

anche leva sul potere ricattatorio derivante dalla

scadenza del contratto stesso per ottenere la “consensualità”

del lavoratore apprendista stesso. Abbiamo

avuto casi di apprendisti licenziati alla scadenza

del contratto perché, nell’arco di 4 anni, avevano

osato parlare di diritto sul lavoro. È palese

l’intento fraudolento di questa politica occupazionale.

Per la ricaduta sui livelli di sicurezza valga su

tutte le chiacchiere ciò che abbiamo già detto sul

povero Anthony.

D: In vista di un nuovo CCNL che cosa dovrebbe

essere, per il vostro settore specifico, irrinunpag.

5 di 6

ciabile (o non sottoscrivibile) da un’organizzazione

sindacale?

R: Il tema del rinnovo contrattuale ci pone delle

riflessioni di merito e di metodo. Sul metodo possiamo

essere più argomentativi in quanto sul merito,

a quattro anni dalla scadenza del CCNL della Attività

Ferroviarie, conosciamo davvero poco del nuovo

strumento contrattuale. Ma detto ciò abbiamo detto

praticamente tutto sulla questione del metodo; è

inaccettabile che in uno scenario di disarticolazione

di fatto dell’organizzazione del lavoro quale quello

attuale nelle ferrovie il sindacato si arroghi il diritto

di gestire rinnovi contrattuali in assenza del consenso

informato dei lavoratori. È quello che sta avvenendo

e la nostra preoccupazione è che nel nuovo

contratto vengano sancite le pratiche organizzative

che abbiamo finora contestato (allungamento dell’orario

di lavoro, accettazione di bassi livelli occupazionali,

flessibilità nell’utilizzo del personale, cessione

di attività o addirittura di rami d’azienda, etc).

Abbiamo letto l’articolato dei 4 punti del nuovo

Contratto della Mobilità firmato nei giorni scorsi: ci

conferma in pieno le nostre preoccupazioni; come

rappresentanti dei lavoratori verremo privati delle

residue capacità di trattativa sull’organizzazione del

lavoro essendo tutto lo scibile contrattuale in capo ai

livelli nazionali, non potremo neppure indire un’assemblea

dei lavoratori durante l’orario di lavoro

perché ci vorrà il consenso di tutte le organizzazioni

regionali, non si potrà di fatto più scioperare in virtù

di una clausola sulla gestione dei prossimi rinnovi

contrattuali. Insomma un disastro tutto informato

dall’accordo firmato nel 2008 da Cisl, Uil & Co.

con il governo sul nuovo modello delle relazioni industriali:

lo scippo ai lavoratori del potere contrattuale

da parte di un comitato di affari formato da

imprese e sindacato, i cosiddetti enti bilaterali. Come

rappresentanti dei lavoratori avremmo voluto

essere coinvolti nel processo di costruzione di una

piattaforma rivendicativa che contrastasse la perdita

di posti di lavoro, la tendenza alla sottrazione di diritti

normativi ed economici (p. es. anche con l’incremento

delle competenza d’indennità ferme a 15

anni fa, dei buoni pasto, oltre naturalmente agli aumenti

stipendiali), la deriva organizzativa con l’incremento

dell’orario di fatto nelle prestazioni diurne

e notturne con prestazioni sui riposi, con la contrazione

stessa dei riposi giornalieri, che tanto ci costano

in termini di tutela della salute e della sicurezza,

l’utilizzo sfrenato del mercato del lavoro nelle

assunzioni, e tanto altro che pervade il quotidiano

del nostro lavoro in termini di mancanza di risorse

strumentali e progressiva perdita di dignità professionale.

Ancora per fare un esempio, a fronte dell’inserimento

di nuove tecnologie nel sistema delle

infrastrutture ferroviarie non è corrisposto il riconoscimento

dell’acquisito livello di professionalità dei

ferrovieri che vedono banalizzato il loro decisivo

contributo al funzionamento di apparati molto complessi

e delicati per la regolarità e la sicurezza della

circolazione dei treni. Semplici operai che svolgono

mansioni degne di tecnici ad alta specializzazione e

questo in una situazione in cui esistono già diverse

carenze anche tra i profili intermedi (tecnici, capi

tecnici, capi impianto); e ancora ci si viene a parlare

di contratto d’apprendistato. Il mondo del lavoro è

nella sua generalità sotto attacco di una classe politico-

imprenditoriale dalle scarse vedute strategiche

e miserabile nelle sue prospettive esistenziali, è questo

che determina la tendenza al sottosviluppo economico

e sociale del nostro Paese. Una fase di rinnovo

contrattuale in una grande impresa nazionale è

senz’altro il termometro per misurare lo stato di salute

della democrazia di un Paese; alla luce di questa

considerazione l’attuale fase nelle ferrovie ci appare

davvero preoccupante. In conclusione ribadiamo

la nostra convinzione sulla necessità di ripartire

dalla volontà dei singoli di immaginare nuove prospettive

di dignità del lavoro e battersi per la ricostruzione

di efficaci strumenti di autotutela dei ferrovieri

all’interno della nostra azienda.

intervista di Redazione

pag. 6 di 6