Signor Ministro, abbiamo letto le Sue dichiarazioni alla Commissione Giustizia, e siamo pienamente convinti che la proposta da Lei fatta, sia quella più idonea, anche se molto dipenderà da come essa verrà declinata.
Questa O.S. si propone di consegnarle un documento complessivo in ordine alle tematiche che il carcere suscita, che pongono problemi sempre più pressanti e cogenti e che, tuttavia, non possono e non devono essere affrontati singolarmente, ma come un corpus unico.
E’ d’obbligo però in questa occasione sottolineare alcune gravi criticità. Innanzitutto la cultura attuale, che da troppo tempo si è affermata nell’Amministrazione Penitenziaria , quella che vede il carcere quasi esclusivamente strumento di sicurezza e basta. In altri termini il carcere non è il luogo nel quale si lavora per attuare l’art. 27 della Costituzione Repubblicana, ma viene considerato quasi esclusivamente un luogo di lavoro dove i detenuti sono, purtroppo, un corollario necessario, ma quasi mai indispensabile. Con ciò si vuole dire che nella concezione dei più, il carcere non è il luogo dove i detenuti debbono rimanere per essere trattati (lavoro, scuola, attività culturali, ricreative e sportive, religione – art.15 della legge 354 ), ma è solo il posto di lavoro della Polizia Penitenziaria , dove accidentalmente può accadere che si faccia qualcosa per i detenuti.
Il restante personale se non c’è è meglio.
Signor ministro, non può funzionare così….
Bisogna ripartire dalla centralità del detenuto e dai suoi bisogni, ed è intorno a questi che deve essere organizzata la vita del carcere e dei suoi componenti. Bisogna ripartire da qui non soltanto per dare adempimento al mandato costituzionale , ma perché significa molto prosaicamente abbattere la recidiva che, sappiamo avere valori altissimi per soggetti peggiorati dal vuoto detentivo. Il sovraffollamento tuttavia è da tempo un bell’alibi per non fare nulla, accentuare il concetto di sicurezza, esasperare le situazioni e dimostrare che non vi è spazio per pensare e fare altro.
D’altro canto va detto che non può essere applicato lo stesso concetto di sicurezza che è il patrimonio delle forze dell’ordine nel mondo libero: la sicurezza in carcere deriva soprattutto dalla qualità della vita al suo interno. Certamente se si esasperano le tensioni e le paure ci sarà una reazione sempre più scomposta e sempre meno sicura per tutti, che può portare indistintamente al suicidio sia dei ristretti che di chi vi opera. E la manipolazione di queste dinamiche porta con sé anche la successiva chiusura alle istanze di rieducazione, che sono cogenti per tutti i funzionari dello Stato e forze di Polizia, perché parte del dettato costituzionale.
L’opposizione portata avanti sul tema della sorveglianza dinamica ne è un esempio eclatante. Così come è significativo l’avanzare della cultura che vede la prospettiva lavorativa degli operatori penitenziari strettamente intesi (in particolare della polizia penitenziaria) non dentro ma fuori dal carcere : il punto di massima attenzione su cui convergono le aspettative. E non è un caso che la fuga da esso e dalle sue dinamiche sia ampiamente sostenuta, nel concreto, da tutte le OO.SS. di polizia penitenziaria.
Signor ministro, non può funzionare così….
E su questi presupposti si avviluppa tutta la vita amministrativa del DAP.
C’è poi la partita delle nomine politiche dei vertici nelle Direzioni Generali: il fatto che le nomine ai vertici siano politiche porta con sé la circostanza che questi ultimi siano messi in condizioni di non operare, indipendentemente dalla correttezza istituzionale delle posizioni e dal loro essere integerrimi. Il riferimento purtroppo non è più la legge e la correttezza istituzionale, ma l’acquiescenza o meno alle istanze non sempre corrette di chi fa politica e di chi fa sindacato.
Quindi, Signor Ministro, il lavoro è arduo soprattutto perché l’Amministrazione Penitenziaria va sempre di più verso un carcere di polizia. Negli ultimi anni sono stati fatti concorsi esclusivamente per commissari. Perché non ne sono stati fatti per Dirigenti di Istituto e di UEPE? In adesione alla spending review? Può darsi, ma balza evidente agli occhi di tutti che il ripetuto depauperamento di questi ultimi porta ad uno strapotere, nel carcere, della Polizia Penitenziaria che - per lo più - è latrice prevalentemente di quelle istanze di sicurezza di cui più sopra si accennava. Ma non basta, un decreto che circola per il DAP, sembra avere come oggetto le scuole di formazione, che si vogliono far diventare tutte scuole di Polizia Penitenziaria, ai cui vertici mettere Ufficiali del Disciolto Corpo degli Agenti di Custodia. Che significa tutto questo? Che il personale del Comparto Ministeri, che annovera tra gli altri Funzionari giuridico pedagogici, Funzionari della Professionalità Sociale, Funzionari Contabili……..non ci devono più essere?... Che la formazione deve tendere a formare soprattutto o esclusivamente personale di polizia? Che i contenuti devono legarsi al mandato sulla sicurezza? che la “Cultura” penitenziaria è ormai ostaggio della polizia???
Vogliamo inoltre ricordare che questa O.S. da anni chiede che il personale del Comparto Ministeri sia inserito nei ruoli tecnici della polizia penitenziaria.
Il problema vero del mancato recepimento di tale proposta è che questi ultimi hanno paura di una sana contaminazione con il restante personale e per questo si oppongono.
Da ultimo, ma non per ultimo, abbiamo da segnalarle una serie di problematiche inerenti l’Esecuzione Penale Esterna che, al momento, è in grande sofferenza.
La già grave carenza di organico (siamo intorno al - 40%) in talune situazioni, come Roma, tocca il - 65% , e il taglio dovuto alle riduzioni di personale per la spending review, porterà ad un ulteriore depauperamento di questi funzionari. Ma non basta, mancano dirigenti, che oramai sono al lumicino e, soprattutto manca la volontà politica del DAP di potenziare il settore. A fronte delle riduzioni di cui sopra e della progressiva eliminazione degli organici dei Funzionari Amministrativi presso gli UEPE, a fronte della mancanza di strumenti indispensabili quali le auto, sono stati previsti, nell’organico degli Uepe, ben 387 uomini della Polizia Penitenziaria, senza l’indicazione delle funzioni che questi dovranno espletare. Va ricordato che , in genere si parcheggiano negli UEPE quei poliziotti che hanno creato problemi negli Istituti, ed in mancanza di indicazioni precise sui loro compiti e sulle loro competenze, spesso essi hanno l’arroganza di assumere di fatto compiti “ispettivi” sul funzionamento degli stessi senza averne né conoscenza né competenza, producendo danni notevoli nel loro ambito. Ne abbiamo illuminanti esempi da nord a sud. I Provveditori per lo più non sono attenti a questo settore e, negli ultimi dieci anni non c’è stata attenzione neanche da parte del DAP. Perché il DAP ha aspettato un anno per coprire la sede vacante dell’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna, pur avendo Dirigenti Generali disponibili? Qual’è il disegno??.
Va detto che un autorevole Dirigente Generale si è permesso di dire a più persone ed in situazioni diversificate che tali uffici sono inutili e servono solo per le statistiche, mentre gli Assistenti Sociali sono galline starnazzanti. Se questa è la considerazione di tali lavoratori appare chiaro che il passo successivo nella mente di taluno non può che essere la loro riduzione al silenzio. Nei fatti la progressiva eliminazione di tali operatori, e delle risorse di tali uffici fa scaturire una chiara schizofrenia sostanziale, politica ed amministrativa del sistema. E’ appena il caso di rammentare che gli operatori del Servizio Sociale silenziosamente e con poche risorse hanno pur sempre tenuto in piedi il sistema delle misure alternative, quello stesso sistema che verbalmente – ma solo verbalmente - si vorrebbe invece rilanciare ed ampliare come indubbiamente emerge dal dibattito in atto nel paese, unitamente alla proposta di ampliare il sistema delle misure alternative – in linea con le risoluzioni internazionali – e introdurre anzi la messa alla prova anche per i condannati adulti. Si può fare tutto ciò senza risorse e senza personale? Si può nei fatti muoversi verso la cancellazione degli Uepe in un momento in cui sembra si voglia investire sulle misure e pene alternative?
La schizofrenia appare ancora più evidente se si pensa che c’è in atto una tendenza piuttosto forte, da parte di alcuni vertici del DAP, che vorrebbe le Misure alternative alle dipendenze dell’ente locale.
Ma queste non sono Esecuzione Penale? E quest’ultima non è materia esclusiva dello Stato?
E mentre si discute si continua a nullificare il sistema delle misure alternative! Un esempio per tutti : per la soluzione dei problemi derivanti dall’eccessivo costo degli affitti, qualche Provveditore ha ben pensato di portare gli Uepe nel carcere, anche se la legge dice chiaramente che essi devono essere posti fuori dagli Istituti e per questo non basta che non abbiano lo stesso ingresso pur rimanendo nello stesso stabile…..Scompare anche la visibilità degli Uffici!
Non si possono usare beni demaniali o confiscati alla mafia?
Pertanto le conclusioni a cui è pervenuta questa O.S. è quella di suggerire che, se si deve continuare con questo andazzo, è meglio che si abbia il coraggio di CHIUDERE questi uffici. Finirebbe così solo una grande ipocrisia, con buona pace di tutti. Se si pensa invece, così come dichiarato ripetutamente da autorevoli fonti, non ultimo anche il Ministro precedente , che solo un potenziamento dell’area delle misure alternative possa incidere positivamente sul sistema dell’esecuzione penale nel nostro paese, ormai al collasso, si abbia il coraggio di investire massicciamente in termini di mezzi e risorse in questo settore .
Roma,28 maggio 2013