Alla Direzione Generale Per l’Esecuzione Penale Esterna e di messa alla prova
Dott.ssa Lucia Castellano
Alla Direzione generale del personale, delle risorse e per l'attuazione dei provvedimenti del giudice minorile
Dott. Vincenzo Starita
Al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità
Dott.ssa Gemma Tuccillo
Al Dirigente dell'UIEPE di Milano
Dott.ssa Severina Panarello
A tutto il personale
Alle OO.SS.
Questa lettera scaturisce dalla inevitabile riflessione che questo sindacato ha fatto dopo aver appreso che un gruppo di iscritti USB, dell'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Milano, ha deciso di transitare in un altro servizio dopo 18 anni di onorato lavoro. Qualcuno sostiene che andranno presso gli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni per lavorare di meno, noi sosteniamo che andranno a lavorare meglio.
Hanno subito anni di vessazioni, umiliazioni e mortificazioni del loro lavoro e della loro professione. Sono stati inibiti e bloccati dalla esasperante burocrazia e dalla rigidità dell’organizzazione del sistema dell'esecuzione penale. Come iscritti, delegati e come eletti nella RSU abbiamo portato avanti battaglie quotidiane per la dignità e la tutela sul posto di lavoro. Una direzione sorda e un dipartimento che non ha raccolto il grido di sofferenza organizzativo dell’Ufficio di Milano hanno portato allo sfacelo che è sotto gli occhi di tutti ma, come USB, al contrario di altre sigle, possiamo dire di essere rimasti fermi e coerenti nelle nostre posizioni.
Sì, anche se ricominciano con nuovi colleghi, non più con la stessa energia e magari più lontano da casa, preferiscono andare a lavorare in un ufficio che si chiama ancora "Servizio Sociale". Lasciano un posto che assomiglia invece a una catena di montaggio più che a un Servizio Sociale. Un posto dove la mission dell’ufficio propria del servizio sociale è stata scalzata dalle aree nate a suo supporto; più volte si è assistito a scelte dirigenziali locali di riconoscimenti anche ai fini economici di tali aree surclassando quella primaria di servizio sociale. Tale confusione ha creato relazioni non del tutto positive tra il personale delle diverse aree, una sorta di “divide et impera ” che sindacalmente abbiamo combattuto e che va a svantaggio di tutti i lavoratori.
Ma d'altronde è questo ciò che hanno voluto realizzare i vertici del nostro Dipartimento e Ministero. Negli anni a Milano, nella grande città ricca anche di solidarietà, abbiamo assistito a un progressivo quanto implacabile impoverimento e svuotamento del senso della misura alternativa, un modello dell'esecuzione penale "uepecentrico", che li ha oltremodo isolati e malvisti dalla comunità professionale del territorio milanese. In un processo tortuoso e sofferto gli è stata tolta la possibilità di crescere come gruppo professionale: i tempi incalzanti, la mera esecuzione dei procedimenti, l'assenza di confronti e riflessione, le difficoltà concrete di allacciare reti territoriali, la mancanza di un quadro generale della politica del servizio, li hanno lentamente e progressivamente alienato dal sé professionale. Eppure, ancorché isolati, tutti gli operatori sono riusciti a costruire buone relazioni di prossimità, non certo grazie a una politica generale del servizio. Gli obiettivi e le rivendicazioni sul piano sindacale, come USB, a livello nazionale ci hanno consentito di interloquire con il DGMC dove tuttavia abbiamo fatto i conti con una fabbrica dei sogni che ha tenuto il personale in gravissima sofferenza per anni.
Potevano e volevano costruire insieme i processi di cambiamento in momenti epocali come per esempio con l'entrata in vigore della legge sulla messa alla prova; tuttavia non è stata loro mai accordata né stima né fiducia nelle loro capacità ed esperienza, relegandoli a ruolo passivo ed esecutivo. Eppure le proposte formative c’erano. Vero. Ma astratte e lontane dalla realtà organizzativa (disorganizzata) locale e quindi non in grado di attivare un vero cambiamento. Si sono sistematicamente visti escludere da ogni opportunità di accompagnare e formare a loro volta i colleghi con contratto da liberi professionisti; ruolo affidato poi, ironia della sorte, agli stessi colleghi liberi professionisti vincitori del concorso Diciotto anni al servizio dell’utenza e a garantire la funzionalità di un ufficio che storicamente vanta un elevatissimo numero di persone in esecuzione penale e in sospensione pena senza che ci siano state gravi inadempienze ed errori (ancorché umani); semmai hanno sviluppato un “modus sopra-vivendi” che garantisse un livello minimo di qualità degli interventi.
Di questo i lavoratori del servizio sociale si prendono il merito. Nel silenzio e “dietro le quinte”, lasciando le luci della ribalta ai convegni e agli Stati Generali dell’Esecuzione penale esterna del 2015/2016. Evento per il quale a nessun funzionario di Servizio Sociale è stato chiesto di fornire un contributo. Considerati come meri esecutori, gli assistenti sociali, non hanno mai visto nascere un reale sistema di valorizzazione del personale ai fini del Benessere Organizzativo di cui oggi non si sente più parlare ... Forse l’intuizione qualcuno l’aveva avuta in passato. Il concetto per cui se stiamo bene tutti nelle organizzazioni lavorative, ne beneficia la mission della stessa. Benessere che può passare anche dalla cura degli ambienti e dalla sicurezza sul posto di lavoro: aspetti visti sempre come secondari. Al contrario, hanno visti concretizzarsi, “strumenti atti ad offendere” la dignità del lavoratore che a volte incautamente è incorso in provvedimenti disciplinari o ha dovuto subire violazioni dell'autonomia professionale.
Ci hanno pensato loro a prendersi cura di loro stessi perché la fragilità e la malattia non sono degni di attenzione. Hanno aderito a percorsi individuali e di gruppo, di sostegno psicologico per superare l’alienazione dal sé professionale e sventare ogni esordio di burnout. E cosa dire del silenzio assordante degli organi superiori quando si denunciavano determinate situazioni di difficoltà? Nessuna considerazione e semmai le rare risposte solo di biasimo. Questi professionisti se ne vanno, in tanti. Portano con sé la loro storia professionale, la loro esperienza specifica, quello che viene definito Know-how, risorsa preziosa in molti ambiti ma, a quanto pare, ininfluente in questo settore. Se ne vanno con l'amarezza di non avere potuto contribuire, seppur lottando con ogni mezzo, da quello tecnico a quello sindacale, a un vero cambiamento organizzativo, se non nei loro utenti che si sono congedati da loro con gratitudine.
Se ne vanno con speranza ed entusiasmo perché il cambiamento comincia da una scelta. Decisa e convinta. In questo ci accompagna la convinzione che, in tempi duri e difficili come i nostri, per tutti i lavoratori non ci si deve arrendere allo “statu quo” ma si debba continuare a rivendicare un pensiero professionale e organizzativo di qualità. Noi come USB ci siamo!
USB PI Lombardia