Cesare Romiti ha rappresentato l’incarnazione di un capitalismo che intendeva riprendere il controllo delle fabbriche, dopo la lunga stagione iniziata con l’autunno caldo del 1969 e durata fino alla fine degli anni ’80.
Durante quegli anni grandi furono le conquiste del movimento operaio che riuscì a spostare a suo favore il potere in fabbrica. Erano gli anni dei Consigli di Fabbrica, della democrazia nei luoghi di lavoro, di scontri durissimi con il padronato, conditi da giganteschi scioperi di massa, per ottenere nuove conquiste su salario, orario di lavoro, salute in fabbrica, occupazione e per rivendicare il diritto a pensioni dignitose, al trasporto pubblico, alla casa, alla salute, alla scuola.
Romiti inizia la sua carriera alla BPD, poi alla Snia, passando quindi nell’orbita dell’IRI, come amministratore delegato di Alitalia e poi all’Italstat. In quegli anni stringe la sua rete di relazioni con la grande finanza, in particolare con Mediobanca e con i partiti politici. Nel 1974, sulla spinta di Mediobanca, entra in Fiat di cui diviene amministratore delegato nel 1976.
Lo scontro con il movimento sindacale fu immediato e teso a riprendere il controllo delle fabbriche. Il gruppo Fiat contava allora oltre 320.000 lavoratori, con la fabbrica di Mirafiori che era una delle punte più avanzate del movimento operaio.
Con questo movimento Romiti decise di scontrarsi in maniera brutale. Sul finire del 1979 licenzia 61 operai militanti di formazioni rivoluzionarie; la strategia era quella di ripulire le fabbriche dalle migliaia di quadri politici e sindacali che dirigevano le lotte. La Fiat nel 1980 mise in cassa integrazione 24.000 lavoratori e dopo la dura reazione sindacale annunciò 14.000 licenziamenti. La storia è nota, dopo 35 giorni di occupazione delle fabbriche Fiat e la marcia di migliaia di quadri aziendali che volevano tornare al lavoro, i sindacati decisero di sottoscrivere un accordo che sancì la più grande sconfitta del movimento operaio. Migliaia di quadri sindacali vennero sbattuti fuori dalle fabbriche Fiat, i consigli di fabbrica persero potere e non vennero rinnovati per anni.
Romiti dal canto suo stringeva sempre più i rapporti con la politica, ricevendo in regalo l’Alfa Romeo dall’IRI, a quel tempo diretta da Romano Prodi.
I lavoratori sbattuti in cassa integrazione continuarono a ribellarsi alle politiche di Romiti e all’arrendevolezza di Cgil Cisl Uil, e, insieme ai lavoratori politicizzati e sindacalizzati sfuggiti alle epurazioni di massa, dettero vita a forme di coordinamenti dei lavoratori, prime forme di autorganizzazione nelle fabbriche.
Lo scontro con Romiti proseguirà fino alla sua fuoriuscita dalla Fiat avvenuta nel 1988, con una buonuscita di oltre 200 miliardi di lire.
Nel 1997, a seguito del suo coinvolgimento nello scandalo di tangentopoli risalente al suo periodo trascorso in Fiat, viene condannato per falso in bilancio, finanziamento illecito ai partiti e frode fiscale.
Romiti è stato uno dei più acerrimi nemici del movimento operaio, autore delle politiche che portarono al licenziamento di oltre 120.000 lavoratori dalla Fiat tra il 1980 e la sua fuoriuscita nel 1988.
Uomo del capitalismo e della grande finanza costruì un sistema di potere fondato sull’intreccio tra la politica e il più grande gruppo industriale privato d’Italia.
La grande colpa dei sindacati dell’epoca fu quella di lasciarsi irretire da Romiti, fino ad assorbirne la filosofia economica ed industriale. Dopo la sconfitta alla Fiat nel 1980 questi sindacati abbandonarono le spinte al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, fino ad abbracciare le politiche di moderazione salariale, la politica dei sacrifici, il patto tra produttori, la politica dei redditi. Venuta meno la stagione delle lotte iniziò la stagione della concertazione che tanti danni ha prodotto e ancora produce. Romiti aveva sulle spalle le migliaia di lavoratori rimasti senza lavoro, ammalatisi nelle fabbriche, suicidatisi perché dopo anni di cassa integrazione o dopo essere stati licenziati non avevano più un reddito che consentisse di vivere dignitosamente.
Lo abbiamo combattuto con forza e tenacia nelle fabbriche e se ancora esistono compagni e compagne che continuano a battersi in fabbrica è perché allora non cedemmo alle lusinghe e ai ricatti di Romiti e del capitalismo italiano. Lo abbiamo pagato con cassa integrazione, licenziamenti, reparti confino, demansionamenti, ma noi siamo ancora vivi e continuiamo a combattere quella ideologia che Romiti ha cercato di imporre nei luoghi di lavoro ma che non è riuscita a sconfiggere il movimento operaio, che ancora lotta per migliorare le condizioni di vita e di lavoro.
Unione Sindacale di Base