E’ in corso presso l’Abi una delicata trattativa sui temi dell’occupazione, che ha trovato origine, in parte, al tavolo del gruppo Intesa Sanpaolo.
In questa azienda, infatti, ad inizio ottobre erano state presentate le seguenti richieste dalla controparte: superare, ovviamente in peggio, l’accordo sulla mobilità (limite dei 50 Km per gli impiegati e dei 70 Km per i quadri); rivedere le norme che impediscono il demansionamento, cioè possibilità per l’azienda di far svolgere al lavoratore mansioni di livello inferiore; superare il problema dei troppi part-time presenti in alcune realtà locali; prendere atto che oltre 1.000 dipendenti hanno raggiunto il diritto alla pensione: come fare per buttarli fuori?
Soprattutto veniva chiesta l’introduzione di non meglio precisati “contratti alternativi” e nuove regole per il trasferimento dei dipendenti dalle Direzioni Centrali alla Rete.
Nel frattempo partiva una trattativa a livello di categoria dove l’Abi manifestava l’intenzione di tagliare i costi con interventi relativi a “il Fondo Esuberi, l’applicazione dei Contratti complementari (anche ampliandone la funzione per rispondere ad esigenze di nuove assunzioni), il ricorso ai Contratti di solidarietà, la mobilità territoriale e la fungibilità delle mansioni”.
Il 21 ottobre Intesa Sanpaolo usciva allo scoperto con le proposte di nuove assunzioni per il Consorzio (a suo tempo costituito per l’esenzione Iva), in “aree disagiate”, con riduzione dello stipendio del 20%, settimana lavorativa di 40 ore, riduzione di ferie da 25 a 20 giorni. I sindacati aziendali decidevano di prendere tempo e consultare le segreterie nazionali.
La trattativa si sposta adesso in Abi, dove la controparte, in pratica, assume le richieste di Intesa Sanpaolo e le ripropone per tutta la categoria.
Di fronte all’Abi gli 8 sindacati si presentano in ordine sparso: escono comunicati divergenti, contraddittori e talvolta rissosi.
Apre il fuoco la Fabi con diversi comunicati che mostrano disponibilità alla possibilità di nuove assunzioni in regioni in crisi, pur con le perdite salariali e normative citate, che dovranno essere temporanee. Segue la Fiba, con posizioni simili. A questo punto la domanda che sorge é: “quanto tempo deve passare perché si torni a regime?” Come mai tra le richieste c’è la riduzione dei giorni di ferie da 25 a 20? I 25 giorni maturano dopo 10 anni d’anzianità…
La Uilca si dice indignata delle proposte dell’Abi, ma disponibile a trattare sulla base del punto 5 dell’accordo sul nuovo modello contrattuale (quello firmato a gennaio solo da Cisl, Uil e Ugl, che peggiora ulteriormente le regole della contrattazione e consente i contratti in deroga).
La Fisac è perentoria a dire no, precisando che è stata l’unica degli 8 ad assumere questa posizione. La Uilca si risente e risponde, senza mai citarla, con un comunicato molto polemico.
Questo è il quadro della situazione, alquanto allarmante: tutto si svolge senza coinvolgere i lavoratori.
Si sta delineando una situazione che ricorda sinistramente quella del ’99. Ora come allora le banche lamentano una situazione di crisi (poverine, faranno solo 5 miliardi di utili quest’anno…) e usano questo argomento per attaccare i diritti.
Ancora una volta una situazione transitoria di difficoltà viene utilizzata per cercare di manomettere in maniera definitiva il contratto nazionale.
Oggi, va detto, esiste realmente una situazione di emergenza occupazionale (sul nostro sito abbiamo scritto recentemente al riguardo) che coinvolge però solo piccole banche e con numeri circoscritti a poche centinaia di lavoratori. Non si può peraltro tacere il fatto che queste situazioni di difficoltà siano state, talvolta, originate da politiche dissennate dei manager di turno, o da operazioni poco trasparenti, come l’acquisto di Interbanca da parte del gruppo industriale Usa General Electric.
A questo problema specifico va data una risposta specifica, attivando forme di mobilità di categoria che facilitino il riassorbimento dei lavoratori licenziati all’interno del settore del credito. In questo senso sarebbe accettabile la proposta dell’Abi di usare i fondi della parte ordinaria del Fondo Esuberi (destinati a formazione e riconversione professionale) per gestire queste situazioni.
Nient’altro deve essere toccato, a fronte di un contratto nazionale che scadrà nel 2010 e dovrà essere rinnovato con una trattativa complessiva e non anticipando le parti che interessano all’Abi per peggiorarle.
Non sono accettabili tentativi, più o meno mascherati, di disarticolare il contratto nazionale. Basta con l’uso disinvolto del Fondo Esuberi, come accaduto con le fusioni di Intesa Sanpaolo e Unicredit Capitalia, con l’incredibile attivazione “preventiva” del Fondo.
Non sono più accettabili i comportamenti inaffidabili e poco corretti tenuti dalle dirigenze aziendali dei due grandi gruppi bancari italiani, Intesa Sanpaolo ed Unicredit; non è più tollerabile accettare, come in Intesa Sanpaolo, che si faccia l’accordo sul consorzio e poi si mandino le lavorazioni in Romania, che si chiedano assunzioni in deroga ai contratti (ma l’accordo non doveva garantire ai nuovi assunti lo stesso contratto dei vecchi?), minacciando delocalizzazioni o la mancata conferma dei tempi determinati, che si tenti di rivedere l’accordo sulla mobilità territoriale firmato meno di due anni fa. Andate a rivedere la piattaforma per lo sciopero che abbiamo indetto il 30 aprile: rischi occupazionali, delocalizzazioni, chiusura di poli, trasferimenti gravosi; i rischi li avevamo già individuati!
Quindi va rivendicato il rispetto integrale degli accordi firmati (gli otto firma-facile facciano almeno rispettare ciò che firmano!), in particolare per le assunzioni previste e la conferma immediata di tutti i contratti precari.
Come si vede, siamo in presenza di attacchi della controparte da più fronti.
Un’ulteriore conferma di questo giunge dalle gravi notizie uscite dal Comitato strategico del Gruppo Unicredit, per ora apparse solo sui giornali, che parlano di 7.000 nuovi esuberi, dopo i 9.000 appena portati a compimento in questi ultimi due anni. La giustificazione per questa nuova decimazione sarebbe il ritorno alla banca unica: i manager strapagati cambiano e ricambiano le strutture societarie, smentendo se stessi e le loro affermazioni anche di pochi mesi prima ed a pagare sono sempre chiamati i lavoratori.
Ciò accade essenzialmente per un motivo: contano sul fatto che qualche sindacato disponibile a firmare si trovi sempre e che la categoria non sia in grado di rispondere adeguatamente. In effetti deve essere chiaro che ogni ipotesi di resistenza e di tenuta sindacale richiede la disponibilità dei lavoratori a reagire e mobilitarsi.
Siamo disponibili a confrontarci e collaborare con ogni forza sindacale seriamente interessata a contrastare le mire dell’Abi: i colpi di piccone al CCNL mirano al cuore del nostro sistema di tutele e dobbiamo fermare i picconatori.
I lavoratori devono capire che la passività porterà solo a perdere ulteriormente diritti.
E’ possibile, è necessario, costruire un’alternativa all’attuale gestione sindacale, attraverso il rafforzamento del sindacalismo di base e la partecipazione attiva di tutti.
C.U.B.-S.A.L.L.C.A. Credito e Assicurazioni