Alcune rapide osservazioni motivate dalla discussione recente sulla crisi della Fiat
La politica della Fiat nell’era di Marchionne ha colpito molto l’opinione pubblica italiana. Si tratta certamente di una politica fortemente innovativa, che si colloca con autorevolezza nel trend di quella “globalizzazione” che porta alle estreme conseguenze l’inumanità catastrofica raggiunta dal sistema economico-sociale nella sua fase estrema. La questione è stata esaminata da molteplici punti di vista. Ma mi sembra che nessuno abbia messo in rilievo il ruolo che ha svolto, nella crisi dell’industria italiana, quel trasferimento di interessi dalla politica industriale a quella del mattone, dal profitto alla rendita. Un osservatore che guardi alle cose con un po’ di consapevolezza sul ruolo della rendita urbana nelle dinamiche dell’economia e nelle trasformazioni del territorio rimane veramente colpito da alcune stranezze, che vorrei qui rapidamente elencare.
É davvero strano che nessuno, neppure gli analisti più attenti e intelligenti delle politiche sociali e di quelle economiche, si sia chiesto quanto pesi, sulla crisi dell’industria italiana, il fatto che, a partire dagli anni 70, le grandi industrie “moderne” abbiano dirottato le loro risorse dagli strumenti di una politica industriale avveduta e lungimirante (ricerca e innovazione, esplorazione delle nuove esigenze compatibili con i limiti delle risorse e con i nuovi possibili stili di vita e così via) verso l’investimento immobiliare.
É davvero strano che i comuni e le regioni, che piangono oggi per l’abbandono delle attività industriali nelle loro aree, non si domandino quanto sia grande la loro responsabilità, per aver consentito alle industrie di lucrare altissime rendite con le allagre modifiche delle destinazioni d’uso delle loro proprietà, e di abbandonare così le attività produttive a vantaggio della speculazione sul mattone.
É davvero strano che evitino qualsiasi accenno autocritico quegli urbanisti, convertiti al ruolo di facilitatori delle operazioni immobiliari, che hanno promosso o favorito l’applicazione degli strumenti perversi (dai “programmi urbani complessi” agli “accordi di programma”) adoperati dalle amministrazioni, miopi o asservite, per facilitare l’incremento della rendita fondiaria nelle aree ex industriali.
Ed è infine davvero strano che i politici, soprattutto quelli di centrosinistra e di sinistra, non diano segno d’aver compreso la loro responsabilità per aver abbandonato ogni attenzione per le regole elementari di utilizzazione del territorio, e aver lasciato così campo libero alle scorrerie dei “capitani coraggiosi” e degli affari immobiliari (o averle addirittura promosso e favorito), attribuendo agli incrementi della rendita e alla sua appropriazione privata un ruolo salvifico nella crescita del PIL.
É ingenuo sperare che chi ci governa oggi, in Italia e nelle sue città, o pretende di farlo domani, comprenda le proprie responsabilità per quanto è avvenuto, e assuma di conseguenza la difesa del territorio, e il ripristino delle regole di una pianificazione socialmente, culturalmente e ambientalmente orientata, come obiettivo politico primario per oggi e per domani?
fonte: tratto dal sito web