Le dichiarazioni del direttore dell'Agenzia delle Entrate in risposta alle lamentele di un deputato della maggioranza che ritiene troppo ingombrante la presenza del Fisco a Trento, richiedono un chiarimento che può venire solo da chi le ha rese. Il direttore si è giustificato con il fatto che a Trento ci sono troppi funzionari preparati sul fronte delle imposte dirette e da questa circostanza scaturisce una situazione che richiederebbe un intervento correttivo. Cosa vorranno mai dire queste parole? Se dessimo credito a un'interpretazione nemmeno troppo maliziosa di queste dichiarazioni dovremmo constatare con amarezza che l'Agenzia ha definitivamente perduto la sua autonomia di azione: quando un deputato chiede un intervento correttivo rispetto a situazioni di elevata efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (la lotta all'evasione fiscale non è propriamente un buono spot elettorale...), siamo di fronte a una grave ingerenza. Se a questa intrusione fa eco una risposta equivoca, è ancora peggio.
Abbiamo criticato la riorganizzazione perché indebolisce il presidio del territorio e dà un pessimo segnale di arretramento. Siamo sempre stati pronti a cambiare idea, ma episodi simili ci confermano purtroppo di aver visto giusto. La riorganizzazione sembra una bassa marea che mette a nudo la vergogna dell'evasione fiscale, cronica e gigantesca nel nostro Paese, lasciando inerme l'Agenzia che si potrebbe scoprire incapace di combatterla sia per la debolezza delle norme tributarie, sia per il pressing della politica. Sapevamo che la riorganizzazione avrebbe travolto, come ha fatto, la professionalità, le aspettative di carriera e retributive di migliaia di lavoratori. Dobbiamo adesso constatare che ha sancito il definitivo arretramento del Fisco su posizioni difensive e non belligeranti contro il nemico sociale numero uno? Vorremmo davvero sbagliarci, ma che senso dare alle parole del direttore dell'Agenzia quando afferma che “[...] a Trento c'è una situazione un po' particolare: il personale, in numero elevatissimo, proviene dall'ex centro di servizio; quindi, vi sono anche problematiche di natura professionale, legate alle esperienze professionali. Stiamo ipotizzando, tuttavia, un intervento di tipo organizzativo, che sicuramente risolverà il problema. Nel frattempo, per il 2009, abbiamo già dato disposizione di ridurre in modo significativo, a Trento, il numero degli accertamenti, in attesa e in previsione dell'annunciato intervento”.
L'Agenzia rischia di diventare una fabbrica di illusioni, che sforna numeri senza sostanza. I carichi di lavoro sono molto onerosi come sanno bene i lavoratori, che hanno visto crescere gli obiettivi e calare le retribuzioni. Però è anche vero che il gettito italiano viene in massima parte dalle ritenute alla fonte (lavoratori dipendenti e pensionati sono i migliori clienti del Fisco italiano) e dall'adesione spontanea dei contribuenti onesti. Forse quei carichi di lavoro rischiano di diventare più apparenza che sostanza: un'apparenza che consente ai dirigenti di centrare obiettivi legati a sostanziosi premi monetari, come sanno bene coloro che rappresentando al tavolo negoziale sia i lavoratori sia i dirigenti, forse dovrebbero cogliere nel sistema salariale qualche contraddizione che invece sfugge loro. Abbiamo il ragionevole dubbio che l'Agenzia non sia messa nelle condizioni di fare del suo meglio. Se ne accorgono anche i lavoratori e per aver detto anche queste cose, una funzionaria è stata da poco licenziata in tronco. I giudizi sono sempre opinabili, condivisibili o meno, talvolta eccessivi, ma la reazione dell'Agenzia è stata violenta, spropositata, quasi scomposta. Ha il vago sapore di un invito a tacere, a non parlare male del Fisco. I lavoratori di Trento e la funzionaria licenziata a Pavia sono legati da un filo: a un capo del filo c'è la menzogna della produttività, incompatibile con la logica degli scudi fiscali. All'altro capo c'è la sanzione, usata come arma per rabbonire, ammansire. Nel mezzo, fra finta meritocrazia e vera polizia (nel senso dell'audit interno) ci siamo tutti. Abbiamo l'impressione che tirando troppo, prima o poi questo filo si spezzerà.