Emblema del capitalismo mordi e fuggi, la Fca di Marchionne, Fas in terra di Balcani, ha deciso di sbarazzarsi di parte non piccola di lavoratori dello stabilimento serbo. A Melfi, Termoli, Atessa i lavoratori e le lavoratrici sperimentano la durezza del superlavoro imposto a colpi di straordinari e 20 turni, mentre a Mirafiori larga parte di lavoratori è a riposo forzato e l’incertezza domina sugli altri stabilimenti. Tutti i lavoratori Fca, sebbene in misura diversa, sperimentano quindi la volubilità del capitalismo targato Marchionne.
Il passaggio da turni massacranti al riposo forzato o al licenziamento è molto spesso repentino. Lo devono aver capito bene gli operai serbi, fino a pochi mesi addietro impegnati a lottare per modificare i turni di lavoro e aumentare i salari, che hanno scoperto che il sindacato sta trattando con la direzione aziendale FAS ( Fiat Automobili Serbia) dello stabilimento di Kragujevac la possibilità di giungere ad un accordo per l’uscita “volontaria”di centinaia di operai. FAS ha deciso di togliere il terzo turno a causa di un calo delle vendite della 500L.
Sarebbero pertanto circa 900 i lavoratori a rischio sui 3100 impiegati nello stabilimento inaugurato in pompa magna nell’aprile del 2012 di cui Fca detiene il 67% e il restante 33% è nelle mani dello stato serbo. Marchionne all’epoca addebitò la responsabilità della scelta dell’investimento nei Balcani, e non a Mirafiori, alla scarsa serietà dei sindacati italiani. Serietà, per Marchionne, è sinonimo di complicità e resa senza condizioni al volere dell’impresa e del mercato. Non era più sufficiente il modello Pomigliano conquistato nel 2010, in cui complicità e resa sindacale non mancavano di certo, bisognava rendere salari, orari e carichi di lavoro variabili totalmente dipendenti del prodotto specifico e della competitività globale.
Tuttavia, più che la disponibilità sindacale e l’accondiscendenza dei governi italiani, di cui non può lamentarsi, sono state certamente le enormi risorse pubbliche stanziate dal governo serbo e i bassi salari ad aver convinto l’Ad Fca a portare la monovolume in Serbia compiendo l’ennesima violenta divisione in due aziende, esattamente come a Pomigliano, dei lavoratori ereditati dalla Zastava, fabbrica statale di automobili della ex Jugoslavia distrutta dai bombardamenti “umanitari” nel 1999.
Non è chiara l’entità definitiva dell’incentivo pubblico concesso a Fca ma pare sia stata tale da coprire per qualche anno l’insieme delle retribuzioni dello stabilimento. I profitti si incassano in moneta sonante mentre gli impegni sociali sono sempre più effimeri, precari. Una ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, del fatto che gli investimenti pubblici a sostegno dei profitti privati generano solo speculazione e saccheggio del territorio e non occupazione stabile e benessere.
Negli ultimi quattro anni la Fca ha potuto sfruttare appieno una ripresa generalizzata delle vendite dell’auto dopo il costante declino degli anni precedenti, ciò ha solamente rinviato la ristrutturazione del settore chiesta a gran voce all’Europa dei costruttori di auto da Marchionne. Per noi si tratta invece di costruire resistenza, di lanciare la vertenza generale contro il modello imposto nel 2010 rimettendo al centro la fatica umana, la condizione concreta del lavoro negli stabilimenti. Con la consapevolezza che quanto accade nell’azienda metalmeccanica più grande d’italia parla ancora, nel bene e nel male, all’insieme del mondo del lavoro.
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