Dopo i licenziamenti già operati a Mirafiori e Melfi, l’annunciata chiusura di Termini Imerese, l’accordo osceno all’Alfa Sud di Pomigliano, si conferma la cosiddetta svolta autoritaria imposta dal management della Fiat, con il sostegno attivo dei sindacati “complici”, una svolta che nella pratica è il condensato della “filosoFiat”.
Molti opinionisti, politici e sindacalisti, si sono detti sorpresi da queste iniziative, come se fossero stati traditi da quel Marchionne che fino a ieri avevano incensato quale esempio di capitalismo illuminato, chiudendo per anni gli occhi di fronte alla realtà, ai licenziamenti politici, ai reparti confino, alla chiusura degli stabilimenti, agli accordi sui 18 turni, alla nuova metrica del lavoro, all’uso punitivo ed intimidatorio della cassa integrazione.
Perché, quindi tanta sorpresa?
La Fiat non ha cambiato i suoi comportamenti e mentre continua a colpire il sindacalismo di base, ha allargato i confini della repressione, colpendo pesantemente anche la Fiom Cgil.
A breve le fabbriche chiuderanno per ferie ed il tempo che rimane è necessario per preparare la ripresa autunnale, partendo dalla consapevolezza che il segnale che invia la Fiat a tutto il padronato italiano ed al Governo delle destre è inequivocabile: in tempo di crisi occorre comprimere i costi (vedi accordo di Pomigliano D’Arco), eliminare il dissenso, ridurre ulteriormente le retribuzioni.
La ricetta sembrerebbe quella classica con cui il capitalismo risponde ai morsi delle crisi se non fosse che questa crisi non è passeggera, congiurale ma è strutturale e destinata a modificare per sempre il cosa, come e dove produrre.
La risposta dei lavoratori del gruppo Fiat, a partire dall’esito del referendum e dalla grande partecipazione agli scioperi contro i licenziamenti e per avere il premio di risultato, ci dice che la partita non è chiusa, che la Fiat ed il Governo Berlusconi non hanno ancora vinto e che il radicalizzarsi del conflitto nei luoghi di lavoro può cambiare le carte in tavola.
Alcuni anni fa l’allora senatore Gianni Agnelli definì l’Alfa Romeo come il “Vietnam”!
Forse il referendum di Pomigliano non sarà paragonabile all’offensiva sul Thet, operata dalle forze vietnamite contro le truppe di occupazione statunitensi, ma certo segna una svolta decisa nelle dinamiche sindacali.
È un segnale politico importante e come tale va colto dall’insieme di forze che nelle fabbriche stanno praticando le mobilitazioni e gli scioperi, superando le pratiche sbagliate del passato.
Il sindacalismo di base non può e non deve ripetere gli errori tragici commessi anche dalla Fiom nel passato, che di fronte alla repressione che colpiva il sindacalismo di base faceva finta di non vedere e, magari, firmava accordi che la favorivano, ma è necessario rilanciare e praticare iniziative, anche unitarie, dove è possibile. La posta in gioco è troppo alta e le iniziative devono essere all’altezza del momento. Padronato e Governo hanno indicato chiaramente chi deve pagare i costi della crisi: i lavoratori dipendenti!
Lo scontro non può quindi che radicalizzarsi per sconfiggere il piano repressivo della Fiat e l’accordo tra Padronato e Governo Berlusconi.
Intanto deve proseguire la mobilitazione dei lavoratori del gruppo Fiat, con gli scioperi e mobilitazioni di questi giorni, a cui l’USB darà il suo contributo forte e convinto per:
chiedere il ritiro di tutti i licenziamenti;
l’erogazione a tutti i dipendenti anche in cassa integrazione del premio di risultato;
la riapertura della trattativa su Pomigliano D’Arco e gli altri stabilimenti del gruppo;
il rilancio di Termini Imerese.
MARCHIONNE FA LA LOTTA DI CLASSE E NOI NON STAREMO A GUARDARE