Portiamo la radicalizzazione dello scontro nelle piazze e nei luoghi di lavoro. Fermiamo lo sciacallaggio politico, lavoriamo all’unità e alla generalizzazione delle lotte!
In questi giorni ci sono state numerose prese di posizioni, a vario titolo, sulla vile aggressione subita da Michele Franco, compagno riconosciuto e presente da sempre nei movimenti e nelle aggregazioni politiche e sociali che hanno caratterizzato la storia degli ultimi 40 anni della città di Napoli.
Tanti, proprio tanti, compreso il mio, gli attestati di solidarietà al compagno, senza se e senza ma, dinanzi alla follia di un atto di stampo squadrista e giustizialista ammantato di furore rivoluzionario.
Eppure, in qualche espressione di tale vicenda, si coglie il pericolo di una caratterizzazione fuorviante e pericolosa, che non contribuisce a fare chiarezza intorno all’accaduto, né aiuta a comprendere e ricostruire correttamente contesti politici, sociali e di movimento che andrebbero indagati più in profondità e in altro ambito di discussione.
Il rischio è quello di alimentare un clima di sospetto e di interdizione della dialettica politica che nega pari dignità e legittimità alle diverse soggettività e realtà presenti.
L’aggressione a Michele Franco è e rimane un atto vigliacco ed esecrabile in sé, fuori dunque da ogni contesto e da ogni legittima dialettica politica, che vanno affermati, invece, sul terreno del confronto aperto e della ricostruzione rigorosa delle vicende politiche e di movimento del passato.
E soprattutto, i termini della relazione politica e di movimento devono parlare il linguaggio della chiarezza, scevro da ogni mistificazione, collocando l’azione e i piani di riferimento, politico e sindacale, dentro proprie specificità di contesto.
E’ dentro questo clima avvelenato ed inquinato che il comunicato del S.L.L. datato 01.01.2017, a firma del suo segretario, ricostruisce inopportunamente e parzialmente un passaggio molto critico e delicato della vicenda del Movimento di Lotta per il Lavoro.
La ricostruzione di quegli avvenimenti, difatti, pur nella sintesi oggettiva del comunicato, non restituisce la legittimità di una posizione politica assunta da Michele Franco e da altri compagni.
Questi, ritenendo conclusa quella esperienza vertenziale, e sul presupposto della necessità di praticare obiettivi più generali, un piano straordinario per il lavoro, lasciarono la “direzione” del Movimento e ne fuoriuscirono; il che comportò anni dopo, almeno per Michele Franco, il non accesso alla formazione e al lavoro.
Personalmente ed insieme ad altri compagni non condivisi la loro posizione chè nei fatti consegnava al solo Movimento dei disoccupati, già invecchiati nella lotta, la responsabilità di obiettivi così gravosi.
C’era il rischio di disperdere quel patrimonio di lotte e di determinazione ad affrancarsi da una condizione di estremo disagio e bisogno.
Raccogliemmo le forze e proseguimmo nella lotta conquistando lavoro e reddito per oltre un migliaio di famiglie.
Anche qui, dunque, senza approssimazioni e scorciatoie ideologiche dannose, sarebbe importante ripercorrere e ricostruire politicamente quella esperienza.
Una lettura ragionata e collettiva servirebbe non solo a cogliere quanto di quella storia pulita e trasparente sia sopravvissuto, ma soprattutto quanto possa essere ancora di insegnamento per le forme attuali del conflitto.
E per rafforzare le ragioni di un sentire ed una pratica politica comune.
Maria Pia Zanni