La questione delle pensioni sta tornando in queste ore di grande attualità per più di una ragione. Il primo allarme è venuto dalla constatazione che in una situazione di crisi quale quella che stiamo attraversando ormai da anni, il sistema di “rivalutazione” delle pensioni in essere ha, per la prima volta dalla riforma Dini, segno negativo. Cioè le pensioni invece che aumentare diminuiranno! Di pochissimo, dice chi vuole sminuire e nascondere questa gravissima realtà, ma diminuiranno! Brusco risveglio per coloro che si erano dimenticati della madre di tutte le riforme delle pensioni che si sono succedute dal 1995 a oggi, cioè quella del governo tecnico Dini appoggiato da tutti i partiti e da tutti i sindacati tranne quelli che poi hanno dato vita ad USB, che introdusse proprio l’aggancio delle pensioni al PIL e che oggi produce queste diminuzioni.
Quasi contemporaneamente a ciò si apprende che la Cassazione ha definito valide le 500.000 firme depositate dalla Lega per l’effettuazione di un referendum abrogativo di alcune parti della riforma del sistema previdenziale attuata dalla Fornero. Un tema cruciale che va ad aggiungersi alla rinnovata linea politica di questa formazione, fatta di manifestazioni di massa contro l’immigrazione, di incursioni nei campi rom e nelle scuole frequentate dai figli degli immigrati, cioè tutti temi che parlano direttamente alla pancia del Paese, scaricando così le frustrazioni profonde e i disastri provocati dalla crisi e dai diktat dell’Unione Europea.
Però l’accettazione delle firme da parte della Cassazione ha già messo in fibrillazione tutti quei soggetti che si sono ben guardati dall’ostacolare lo smantellamento del sistema previdenziale negli anni passati, gli stessi che hanno sostenuto con ogni mezzo il lancio dei fondi pensionistici privati perché entravano a far parte dei consigli di amministrazione noncuranti del disastro che rappresentavano per il sistema previdenziale pubblico.
Si sta quindi riaprendo una finestra importante nel dibattito politico in cui rimettere al centro la questione previdenziale, che è strettamente legata alla riforma del lavoro, al salario/reddito e alla questione del futuro dei giovani.
Noi siamo da sempre per il ripristino della pensione a 60 anni per tutti e per la soglia massima dei 40 anni di contributi. Sappiamo che questa proposta è condivisa da milioni di lavoratori e lavoratrici che oggi formano l’ossatura del mondo del lavoro dipendente, che sono anche i soggetti a cui principalmente si rivolge il referendum della Lega. Sappiamo però che se non metteremo davvero in campo una battaglia durissima per sconfiggere la precarietà, il ritardato ingresso nel mondo del lavoro, i salari indegni di questo nome, l’assenza di reddito, nessuna “soglia” avrà il potere di assicurare automaticamente la garanzia previdenziale ai giovani. Affidarsi solo agli esiti del referendum sarà dunque l’ultima delle opzioni possibili. La prima deve necessariamente essere quella di rimettere in campo, da subito, una proposta ampia di riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale capace di riallineare esigenze e tutele, sconfiggere la precarietà, garantire sia gli anziani che i giovani. A questo siamo chiamati nelle prossime settimane, così come siamo chiamati ad impedire che sulle enormi responsabilità di cgil cisl uil e ugl sul disastro in corso cali il silenzio e si faccia finta di nulla.