Quella di oggi è stata una vera e propria mattinata di lotta per USB e per i lavoratori di Artoni.
Una lotta per non permettere che gli effetti della crisi economico-finanziaria in atto – con le cause della quale cittadini e lavoratori nulla hanno a che vedere, mentre le strategie governative per uscirne, basate su austerità e privatizzazioni, non portano ad oggi nessun risultato – si traducano in un peggioramento drastico della vita di centinaia di lavoratori.
E questo è il rischio che corrono i lavoratori di Artoni, azienda della logistica che a causa del fallimento ha lasciato senza lavoro, da gennaio, centinaia di dipendenti in tutta Italia, di cui ottanta lavoravano all'interporto di Bologna.
Solo a fine aprile, poi, sono arrivati i licenziamenti da parte della cooperativa che aveva in appalto i servizi di logistica, ma i mesi di inattività in cui tuttavia il contratto persisteva non sono stati minimamente retribuiti.
Per questo oggi abbiamo incontrato prima i rappresentanti del consorzio Carisma e poi i rappresentanti della Città Metropolitana, istituzione locale che ha sostituito la Provincia, portando di fatto la medesima piattaforma:
1. Il pagamento delle mensilità arretrate ed il corretto versamento dei contributi
2. L'attivazione di ammortizzatori sociali ad integrazione della NASPI , adeguandoli agli stipendi percepiti in precedenza, affinchè venga garantita ai lavoratori la possibilità di far fronte alle necessità di vita
3. La creazione, a partire dai lavoratori in questo momento licenziati da Artoni, di un bacino di disoccupati a cui attingere prioritariamente per ogni opportunità di ricollocamento nel territorio.
Quest'ultimo punto è il più importante, perchè non si tratta solo di chiedere un contributo economico (o meglio di esigere quello che ai lavoratori semplicemente spetta), ma soprattutto di garantire la solidità del futuro, perchè i lavoratori a loro volta hanno famiglie, figli, affitti, mutui, spese mediche e scolastiche che non si mantengono con soli due anni di NASPI.
Perchè la scelta di coinvolgere sia il consorzio che le istituzioni pubbliche?
E' semplice: perchè non si può lasciare che le condizioni di vita di centinaia di lavoratori siano decise dal rapporto con un'azienda privata, o peggio ancora con cooperative – private – che trattano i dipendenti come se fossero schiavi.
Anche laddove non vi sia un demerito da parte dell'azienda, ma una situazione di oggettivo fallimento, non possiamo accettare che ne paghino le conseguenze i lavoratori, non possiamo accettare licenziamenti senza alcuna prospettiva, e non soltanto noi come sindacato, non dovrebbe essere accettato da nessuna comunità che si definisca “democratica”.
Dunque, laddove azienda, cooperativa e consorzio, per mancanza di volontà o perchè impossibilitati, non muovono un dito, devono intervenire le istituzioni pubbliche, garantendo un sostegno al reddito nel periodo di disoccupazione e soprattutto garantendo il ricollocamento nel più breve tempo possibile a chi ha subito, senza alcuno colpa, il duro colpo del licenziamento.
Questo, fra l'altro, è in piena coerenza con quello che sosteniamo in tutte le lotte di questo genere, dall'Alitalia, all'Ilva ,alla Piaggio: non esistono condizioni per cui i lavoratori si facciano carico delle ripercussioni di una crisi che costringe sempre più aziende alla liquidazione, e soprattutto non può esistere che lo Stato, in tutte le sue diramazioni, si volti dall'altra parte invece di svolgere il proprio ruolo di garante diretto delle condizioni di vita della popolazione.
L'esito della mattinata è stato quindi il porre le basi per una trattativa ampia, che coinvolga in primis le istituzioni territoriali con l'obiettivo di far pesare tutti i tre i punti della nostra piattaforma su tutte le situazioni simili alla vicenda Artoni che già esistono o si verranno a creare.
Quando gli esponenti della Città Metropolitana hanno preso l'impegno di ricordare alla ditta la propria “responsabilità morale” rispetto ai propri ex dipendenti, abbiamo risposto con fermezza che non esistono “impegni morali”, non si può continuare a delegare le condizioni dei lavoratori al cuore più o meno buono di un datore di lavoro.
Per noi esiste e conta una sola cosa: i diritti di tutti i lavoratori.
04/05/2017