Nei giorni scorsi abbiamo assistito al rimpallo di responsabilità tra governo centrale, Protezione civile e poteri locali sui ritardi nella messa in sicurezza dei luoghi colpiti dalle alluvioni e dalle frane dell’uno ottobre 2009.
Si tratta dello stesso deprimente scarica-barile di responsabilità cui abbiamo assistito subito dopo gli eventi calamitosi. Si tratta di un modello già sperimentato per nascondere l’assenza di una reale volontà di intervenire con investimenti adeguati.
Ad un anno di distanza dalla tragedia di quel 1. ottobre, insomma, il rischio, per chi abita in quelle zone rimane alto, così come incerto è il futuro per larghe parti del territorio siciliano e calabrese caratterizzate da un’accentuata fragilità dal punto di vista idrogeologico.
Sono questi i motivi per i quali abbiamo ritenuto importante manifestare in corrispondenza dell’anniversario di quella notte terribile, sebbene il timore di accodarsi all’ipocrisia istituzionale cui abbiamo assistito nelle scorse ore fosse forte.
Abbiamo, però, dato, al nostro corteo il tono della rabbia e dell’indignazione piuttosto che quello del cordoglio e del lutto che rimangono ambiti intimi che appartengono per intero a chi in una notte ha perso tutto ciò che aveva.
Quella rabbia e quella indignazione si sono tradotte in un fiume di persone che ha invaso le strade di Messina per chiedere che si ponga fine allo sperpero di risorse pubbliche per trivellazioni, progetti e progettini.
Mentre non ci sono i soldi per mettere in sicurezza chi rischia la vita ad ogni scroscio di pioggia, infatti, si manda avanti un iter del ponte che vede impegnati per il futuro 1,3 miliardi di euro di fondi Fas, centinaia di milioni di euro per la ricapitalizzazione della Stretto di Messina Spa, un canone di 100 milioni annui per 30 anni che Rfi dovrà versare per poter consentire il passaggio dei treni.
Tutte risorse pubbliche che andrebbero meglio spese, piuttosto che per una cantierizzazione senza operai, per interventi di cura del territorio e dell’ambiente urbano, per il potenziamento del trasporto pubblico nello Stretto, per l’ammodernamento del sistema viario, per il rifacimento delle condotte dell’acqua e la gestione pubblica come bene comune non alienabile, per l’allestimento dei servizi essenziali fondamentali in ogni territorio (a partire da quelli sanitari), per investimenti nella scuola pubblica (a partire dalla messa in sicurezza degli edifici scolastici).
Le mappe rese pubbliche dalla Stretto di Messina Spa nelle scorse settimane, peraltro, segnalano chiaramente discariche poste in aree d’impluvio sulle colline messinesi già così fragili.
I lavori del Ponte possono, quindi, non solo impedire, attraverso lo sperpero di denaro che da essi deriva, la mancanza di risorse per interventi realmente utili, ma rischiano di causare essi stessi eventi tragici come quelli cui abbiamo assistito negli scorsi anni.
Le dimensioni e la determinazione del corteo di oggi, comunque, ci autorizzano a ritenere che sia possibile battersi perché si possa invertire la rotta.
Noi lo faremo. Noi andiamo avanti.
RETE NO PONTE