La recente informativa inviata dall’Amministrazione sull’avvio di due procedure di interpello per l’individuazione di 36 funzionari da destinare alle Direzioni Centrali e 90 alle Direzioni Provinciali di Roma e Catania, rivolto esclusivamente ai funzionari della regione Lombardia, ci fornisce l’opportunità di riprendere un ragionamento già fatto tante volte su questo argomento.
Intanto vogliamo subito evidenziare che implementare ancora gli uffici centrali, svuotando gli uffici operativi, non ci appare una scelta strategica lungimirante, anzi tutt’altro…
Tra l’altro, non essendosi ancora chiusa la procedura di mobilità 2016, non vorremmo che non si procedesse ad ulteriori scorrimenti.
Ma soprattutto appare evidente che l’utilizzo smodato e piuttosto sistematico degli interpelli e/o dei distacchi diventa un modo surrettizio per aggirare e vanificare la procedura di mobilità volontaria.
Beninteso, non neghiamo che ci possano essere situazioni particolari, non prevedibili in sede negoziale e quindi risolvibili solo in via eccezionale, ma sappiamo anche che storicamente l’amministrazione rifiuta un confronto sulla mobilità volontaria che rimetta in discussione certe chiusure e rigidità ormai consolidate: il problema è quando l’eccezione diventa la norma.
Infatti, se il fenomeno degli interpelli e dei distacchi assume una tale rilevanza, vuol dire che la mobilità volontaria nazionale ha fallito nel suo scopo o per limiti numerici o per carenza di definizione dei principi che rendono necessario il trasferimento di un lavoratore o di una lavoratrice da una sede all’altra.
Un’amministrazione seria e dalla parte dei lavoratori, non dovrebbe mai rinunciare a contemperare le esigenze organizzative con quelle del personale che da anni partecipa alle procedure di mobilità.
Né, come accade sistematicamente in Lombardia, dovrebbe negare o applicare in maniera assai limitata gli istituti previsti dalla legge come la 104 e l’art. 42 bis del d.lgv 151/2001.
E’ dentro la procedura di mobilità nazionale, quindi, che si devono trovare soluzioni eque per tutti e non attraverso misure cicliche e parcellizzate che, di fatto, azzerano i posti della mobilità.