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Patto di Base Area discussione

Intervento di Tiboni ai Congressi di Sirmione

Sirmione,

Stralcio relativo al Patto di Base e CUB (in allegato la relazione completa)

Il Patto di base con Cobas e Sdl


Facendo un primo bilancio di questi mesi di esperienza, ne vediamo gli aspetti positivi, le potenzialità e le difficoltà.



Il punto più alto dell’iniziativa comune è stato lo sciopero generale e le manifestazioni nazionali di Roma e di Milano del 17 ottobre, e il successivo sciopero del 12 dicembre.



Con le due iniziative abbiamo tra l’altro stabilito un proficuo rapporto con il movimento della “scuola pubblica” italiana, sceso massicciamente in campo nell’autunno.



Di grande rilievo sono le decisioni scaturite dalla seconda Assemblea Nazionale del 7 febbraio 2009 che ha lanciato una campagna di lotta di medio periodo sulla base di una piattaforma concreta e realistica per uscire dalla crisi.



Con le organizzazioni del Patto oggi è possibile l’unità nell’iniziativa mentre non è praticabile quella dell’unificazione per le rilevanti divaricazioni con Sdl in ordine alla natura e al ruolo del sindacato di base come è stato evidenziato in Alitalia, divaricazioni che si supereranno con comuni comportamenti sempre più coerenti con le impostazioni di politica sindacale decise nel Patto di base.



L’assemblea nazionale della Conf. Cobas del 21-22 febbraio scorso ha ribadito che “permangono profonde differenze strutturali tra le tre organizzazioni, in particolare quelle riguardanti il fatto che i COBAS svolgono attività sindacale, politica e sociale, non delegando la politica a partiti o gruppi esterni, con un’unica identità sindacal-politica-sociale”.



La Cub comunque deve concretamente operare senza strumentalizzazioni per l’unità del sindacalismo di base.

 

La Cub


È proprio nei momenti di crisi radicale dell'ordine produttivo e sociale che è maggiormente necessario interrogarsi sul senso profondo della nostra azione e della natura stessa delle organizzazioni del movimento di classe.

A questo fine è bene avere chiaro che le questioni che affrontiamo non sono “nuove” se non nel senso che hanno caratteristiche particolari e specifiche.



La relazione fra classe e capitale, fra organizzazioni e movimenti, fra soggetti politici e sindacali, fra movimento operaio e stato, attraversano con contraddizioni secoli di storia del movimento di classe ed hanno visto diverse soluzioni.



In estrema sintesi, il movimento operaio europeo, pur riallacciandosi a lotte ed a esperienze embrionali di organizzazione precedenti, sorge in maniera ampia ed organizzata nella seconda metà del XIX° secolo e sin dal suo sorgere pone all'ordine del giorno diversi modelli organizzativi corrispondenti all'esperienza immediata dei lavoratori ed al modo di intendere il ruolo della classe nei suoi rapporti con gli avversari e con l'assieme della società.

 

Possiamo individuare due modelli dominanti che attraverseranno la storia del movimento di classe:


A) il cosiddetto modello tedesco fondato su di una forte centralizzazione dell'organizzazione, sul rapporto di subordinazione del sindacato ad un partito politico, sulla scelta di puntare ad occupare le assemblee elettive e ad usare la macchina statale come strumento di garanzia dei diritti dei lavoratori;


B) il cosiddetto modello francese fondato sull'organizzazione federale, sull'autonomia dai partiti, dallo stato e dai padroni. L'ipotesi su cui si sviluppa è, in altri termini, la capacità di autogoverno dei lavoratori e sull'assunzione diretta da parte del movimento operaio della formazione, della tutela, delle relazioni dei lavoratori con le controparti.



Il modello tedesco ha una maggior tenuta organizzativa perché si tratta di un modello che, grazie ai massicci finanziamenti da parte delle imprese e dello stato riesce a garantire, di norma, una maggior “efficienza” rispetto a quelli basati sull'autonomia della classe.



D'altro canto, poiché nulla è gratuito, lo scambio è fra diritti e risorse per le organizzazioni e subordinazione della classe allo sviluppo dell'economia capitalistica mediante un modello di relazioni sociali che propriamente viene definito come “corporativismo democratico”.



Si differenzia, infatti, dal corporativismo fascista in considerazione del fatto che non è sottoposto completamente al potere dello stato ma ne assume la logica di fondo e cioè l'esistenza di comuni interessi fra le classi che vanno governati dall'alto con strumenti di regolazione autoritaria del conflitto.


L'irrompere sulla scena, a partire degli anni '60 del secolo scorso di rilevanti movimenti di classe dei lavoratori riporta sulla in evidenza l'interesse per un movimento operaio basato sull'autonomia, l'autogoverno, il conflitto.



Non si tratta di recuperare formalmente la tradizione radicale del movimento di classe ma di coglierne i contenuti di fondo e la sostanziale continuità con le lotte dell'oggi e, soprattutto, del domani nella consapevolezza che solo un movimento operaio forte, autonomo, non subalterno alle controparti può ottenere dei risultati reali e duraturi.

Queste e non altre sono le questioni su cui da alcuni mesi esistono rilevanti difficoltà nei rapporti con Rdb.


Con il Coordinamento Cub del 18 dicembre abbiamo definito un percorso di approfondimento sulle questioni aperte al fine di poter convocare l’assemblea nazionale.



Successivamente in un paio di incontri si trovò l’intesa sulle modalità che le organizzazioni avrebbero dovuto seguire per eleggere i 500/550 delegati all’Assemblea nazionale, di fare dell’assemblea un momento di rilancio della Confederazione sulla base di un documento unitario e sulla decisione di effettuare il Congresso costitutivo della Cub Trasporti prima della Assemblea Nazionale.



Nei due incontri fu avviata la discussione sul documento di politica sindacale per definire natura, ruolo dell’insieme della Cub, una valutazione comune sulla fase, la definizione di criteri per la firma di accordi collettivi, sulla attribuzione delle risorse a livello provinciale per quanto riguarda la titolarità dei contributi sindacali e dei distacchi.



Inoltre non si erano definiti i criteri per stabilire il numero dei delegati da eleggere da parte di ogni organizzazione, modificando o meno quanto oggi previsto dallo statuto.



La discussione, che aveva fatto significativi passi in avanti, veniva bruscamente interrotta da una comunicazione di Rdb del 6 febbraio (il giorno precedente l’assemblea nazionale del Patto di Base) che convocava un fantomatica Assemblea Congressuale Costituente della Cub per fine maggio.



Questa comunicazione era seguita da un documento nel quale si propone la trasformazione della Cub da Confederazione di 16 organizzazioni in una Confederazione strutturata in federazioni di categoria e inevitabilmente centralista.



Il documento sostiene tra l’altro che “il modello fondato essenzialmente sulla contrattazione aziendale non ha più senso” e “né bastano le rappresentazioni consistenti negli scioperi generali indetti una o due volte l’anno”.



A noi pare che prendendo a pretesto la crisi si vuole proporre per la Cub come nuovo il vecchio più vecchio del vecchio, un modello storicamente fallito che è una delle cause che hanno determinato la trasformazione di cgil.cisl-uil in organismi burocratizzati privi di democrazia interna, subordinati alle politiche statali e alle imprese.



Su due questioni vogliamo essere chiari il modello su cui è fondata la Cub non è disponibile ne oggi ne domani e la centralità per l’azione di un sindacato di classe il radicamento e la lotta a livello aziendale.



Lo statuto della Cub rappresenta la base fondativa dell’organizzazione e prevede modalità per la sua modifica che può avvenire solo con una maggioranza qualificata dall’assemblea nazionale.



Pensiamo che nessuna organizzazione sia così irresponsabile da indebolire una confederazione che svolge un ruolo fondamentale per la tutela dei ceti popolari specialmente oggi nel pieno di una crisi senza precedenti, dobbiamo recuperare il meglio della nostra esperienza riprendendo la discussione la dove si è interrotta il 6 febbraio.