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RASSEGNA STAMPA

La beffa della caserma «svenduta» e il triplo affare dei francesi.

Foggia,

Articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera on-line del 14 gennaio 2012

Il caso della Miale di Foggia ceduta alla Bnp Paribas e poi presa in affitto


Dopo 7 anni lo Stato la rivuole (sborsando il doppio) L'Università

«SPQR: Sono Pazzi Questi Risanatori», ridono i francesi di Bnp Paribas, facendo il verso ad Asterix, se pensano a certe cartolarizzazioni all'italiana: traffico di coca e d'armi a parte, dove lo trovi un investimento che renda in 7 anni oltre il doppio del capitale come la caserma «Miale» di Foggia? Una pazzia da manuale. O da inchiesta penale.

«Tesoro: immobili; no "svendopoli", cambio d'uso per valorizzare», titolava l'Ansa il 23 agosto 2001 spiegando che Giulio Tremonti voleva risanare i conti a partire dalla vendita di migliaia e migliaia di edifici di proprietà pubblica come certi edifici militari nel quartiere Prati di Roma e tanti altri sparsi per la penisola. Un anno dopo, un'altra Ansa spiegava che era in arrivo «la più grande cartolarizzazione mai fatta in Europa».

Si è trattato, in realtà, di due percorsi paralleli. Uno seguito con l'obiettivo di vendere, nelle più rosee speranze, 90 mila immobili di vari enti pubblici e portato avanti attraverso la costituzione di un paio di società in Lussemburgo («Con un capitale di 10 mila euro, due fondazioni olandesi come azioniste e un cittadino scozzese di nome Gordon Burrows alla presidenza», rivelò l'Espresso ) dal nome sventurato (Scip: Società cartolarizzazione immobili pubblici) ideale per i titoli giornalistici sugli edifici «scippati». L'altro con la parallela dismissione di strutture militari.

Quale sia stato l'esito della prima operazione lo hanno spiegato varie inchieste giornalistiche («un saldo negativo di 1,7 miliardi») e il procuratore generale della Corte dei Conti Furio Pasqualucci. Il quale un paio d'anni fa, bollando il risultato come «poco lusinghiero» (disastroso, con parole non «magistratesi») invitò chi volesse insistere a pensarci settanta volte sette giacché una nuova «alienazione deve essere attentamente dosata nel tempo e studiata in modo da conseguire risultati migliori di quelli derivanti dalle recenti cartolarizzazioni che a fronte di un portafoglio di 129 miliardi, ha fruttato ricavi per 57,8 miliardi, con un rapporto ricavi/cessioni pari al 44,7%». Molto meno della metà.

Quanto alle caserme, il tragicomico esempio foggiano è illuminante. Dovete dunque sapere che a Foggia, a due passi dalla facoltà di Giurisprudenza e a poche centinaia di metri dal cuore storico che ruota intorno alla cattedrale barocca della Beata Maria Vergine Assunta in cielo, c'è un grande edificio ottocentesco ancora in ottime condizioni, la «Caserma Miale da Troia».

Nelle foto dall'alto e su Google Maps è inconfondibile: è il palazzo più grande del centro cittadino. Elegante, tre piani, si sviluppa su circa 16 mila metri quadri coperti e ha un cortile interno di altri 6.500, pari (si calcola com'è noto il 25%) a un totale di 17.625 metri quadri. Valore? Altissimo, dice l'attuale proprietario trattando la vendita all'Università di Foggia: dove lo trovi uno spazio altrettanto grande e appetibile nel cuore del capoluogo?

Eppure grazie alla «cartolizzazione» tremontiana, quel proprietario, il Fondo «Patrimonio Uno» gestito dai parigini di «Bnp Paribas Rei Sgr», comprò poco più di sei anni fa quel ben di Dio (all'interno di un pacchetto con altri edifici) per una cifra intorno agli 11 milioni di euro. Pari, per capirsi, a circa 624 euro al metro quadro. Un affarone.

Affarone raddoppiato dalla decisione parallela del ministero degli Interni di prendere contestualmente in affitto la caserma venduta dal Demanio per poterci lasciare dentro la Scuola di polizia fino al 2023. Canone concordato: un milione e 160 mila euro l'anno. Facciamo i conti in tasca ai francesi? Comprata per 11 milioni, la caserma avrebbe loro fruttato in soli 18 anni (un battito di ciglia, per una banca) la bellezza di quasi 21 milioni di affitti (per l'esattezza 20.880.000) dopo di che sarebbe rimasta comunque loro la proprietà rivalutata.

Rovesciamo le parti? Lo Stato italiano fece la parte del giocatore impazzito che, rovinato dal demone febbrile della roulette o del poker, svende a un usuraio la casa in cui vive per prenderla poi in affitto a un canone stratosferico. Un delirio. Ma l'ingloriosa avventura finanziaria della Miale non era ancora finita. Due anni dopo (solo due anni!) aver firmato il contratto di vendita e di affitto, infatti, il Viminale ha deciso che la Scuola di polizia, lì dove stava, a quei prezzi, non gli serviva più. E l'ha chiusa. Risultato: l'edificio è oggi utilizzato solo in minima parte (diciamo un dieci o al massimo un quindici per cento) per la mensa della Questura, per una foresteria di poche stanze e per le esercitazioni del poligono di tiro. E intanto i cittadini italiani continuano a portare sul gobbo il canone stratosferico di 96.666 euro al mese: 3.178 al giorno.

A metterci una pezza, come dicevamo, è arrivata l'Università di Foggia. La quale, come spiega il rettore Giuliano Volpe, il primo a essere scandalizzato per la vicenda, potrebbe trarre «enormi vantaggi dall'acquisizione di questa struttura (nelle immediate vicinanze delle Facoltà di Giurisprudenza e di Economia), per la sistemazione del Rettorato, dell'amministrazione centrale e poi di aule, laboratori, servizi agli studenti, residenze e così via». L'altro ieri se ne è discusso al Cipe e grazie ai «fondi Fas» nell'ambito del «Piano per il Sud» pare che la cosa, per la quale anche Nichi Vendola si è speso molto, possa andare in porto.

Prezzo concordato per il «riacquisto» da parte dello Stato: 16 milioni e mezzo di euro. Cinque e mezzo in più di quelli ricavati dalla vendita del 2005. Ma poi, ammiccano i francesi fregandosi le mani, c'è da contare gli affitti incassati in questi sei anni e passa. Facciamo cifra tonda? Sette milioni di euro di canoni. Per un totale (16,5+7) di 23,5 milioni. Il doppio abbondante di quanto era stato investito. Visto dalla parte nostra: abbiamo fatto la parte dei baccalà. Ammesso, si capisce, che si sia trattato di baccalà sventurati ma in buonafede e non baccalà furbetti ingolositi da qualche «esca» inconfessabile...

E dopo aver visto svendere ai soliti «amici» attici a San Pietro da 113 mila euro e case al Colosseo da 177 mila e poi caserme come la Miale con le modalità descritte vogliamo venderci ancora i gioielli di famiglia? O cambia tutto o mai più, così. Mai più.

Gian Antonio Stella

14 gennaio 2012 (modifica il 15 gennaio 2012)