La crisi della Sertubi è la crisi di una classe sociale e di quanti la dovrebbero rappresentare: ciascuno di loro è alla spasmodica ricerca di un padrone.
Un padrone cercano i lavoratori della Sertubi; un padrone cercano le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL presenti in Sertubi; un padrone vogliono i rappresentanti sindacali unitari eletti in Sertubi; infine, alla ricerca di un padrone sono il Comune di Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia.
Eppure, una alternativa da tentare, a nostro avviso possibile dal punto di vista tecnico, c’è e dovrebbe essere messa in pratica adesso piuttosto che attendere il licenziamento in massa.
Si tratta dell’autogestione: i lavoratori si fanno classe dirigente; decidono, in autonomia e con scelte promosse con il metodo dell’assemblea e del dibattito interno ai lavoratori, quanto produrre, cosa produrre e come produrre. Così facendo essi non hanno più alcun bisogno di un padrone perché essi sono autori del loro futuro.
Inoltre, mettendo in relazione fra di loro le risorse, superano il sistema fondato sul profitto: a ciascuno vien riconosciuto un salario ritenuto dignitoso (nella forma migliore, il salario è uguale per tutti).
Per ottenere la liquidità necessaria nella fase di primo impianto, l’impresa in autogestione potrebbe rivolgersi alla <Friulia>, la finanziaria di proprietà della Regione Friuli Venezia Giulia.
L’impresa in autogestione potrebbe rivolgersi al Comune, proponendosi come fornitrice dei tubi necessari per sostituire quelli oramai logori della rete di distribuzione dell’acqua, fognature e così via del comune medesimo.
I lavoratori deciderebbero come impiegare ogni risorsa aggiuntiva derivante dall’attività di autogestione: investimenti in nuovi macchinari, miglioramenti tecnici in favore dell’ambienta e della salute dei lavoratori e così via.
Noi non sappiamo se la strada dell’autogestione riuscirà, alla distanza, a dimostrarsi sostenibile, una volta messa in pratica. Tuttavia, siamo sicuri che, a forza di cercare nuovi padroni, perderemo decine e decine di lavoratrici e lavoratori, donne e uomini ai quali una società sempre più iniqua non vuole dare risposte.
Oggi, l’unica domanda da porsi è la seguente: chi ha paura che i lavoratori si autogestiscano?