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Editoriale

La pazienza è finita. Come la cassa integrazione, il fondo di integrazione salariale e il reddito di sopravvivenza. Martedì 16 giugno mobilitazione nazionale di fronte alle sedi regionali

Nazionale,

La crisi sanitaria ha fatto venire alla luce l'estrema vulnerabilità di tanta parte della popolazione che da anni vive di redditi precari e intermittenti e che si è trovata fin da subito completamente sprovvista di forme di tutela del reddito. I provvedimenti del governo hanno coperto solo in piccola parte chi lavora con contratti atipici, chi svolge attività saltuarie o stagionali, chi non ha un contratto regolare full time.

Da metà giugno però anche chi ha potuto godere di un ammortizzatore sociale come la Cig o il Fis (ammesso che lo abbia effettivamente percepito) si ritroverà completamente scoperto, perché le 14 settimane previste dai Decreti saranno terminate, mentre la data del 17 agosto, quando le imprese potranno tornare a licenziare, si avvicina pericolosamente.

L'esigenza di una misura universale di reddito che salvaguardi milioni di lavoratori è quindi sempre più pressante, eppure la gran parte delle risorse stanziate dai decreti governativi sono state concentrate sulle grandi imprese.

Anche le misure approvate per alleviare le sofferenze della parte più povera della popolazione, come i bonus spesa o il cosiddetto reddito di emergenza, sono state irrisorie e sottoposte ad una tale quantità di condizionalità da renderle in gran parte irraggiungibili. Niente è stato previsto per tariffe e bollette per i cittadini come invece è stato fatto per le imprese. Nessun provvedimento strutturale per quanto riguarda le politiche abitative e in generale a favore di quei lavoratori che, a causa della crisi, hanno avuto difficoltà per pagare mutui e affitti.  Anche in questo caso tra una manciata di settimane scadrà il blocco delle esecuzioni di sfratto, cosa succederà dopo è facilmente intuibile.

Mentre le aziende hanno utilizzato ferie e permessi dei lavoratori, hanno guadagnato con l’uso dello smart working ed hanno ottenuto finanziamenti anche quando non hanno subito alcuna perdita. Si è investito quasi tutto per la ripartenza dell’attività privata e della produzione industriale ma per lavoratori e famiglie si è agito con il contagocce. Invece di puntare su un forte rilancio degli investimenti pubblici per creare occupazione nei settori fondamentali, come scuola, sanità, enti locali, edilizia pubblica e tutela ambientale si continua a far crescere il precariato.

Diventa sempre più urgente una campagna di mobilitazione che riesca ad imporre un’inversione di tendenza.  Per fare ciò è necessario un intervento diretto proprio di tutti quei soggetti e di quei settori del lavoro che questa crisi l’hanno pagata in prima persona. Lavoratori e lavoratrici ormai consapevoli che senza dei provvedimenti strutturali saranno ancora loro ad essere colpiti nel prossimo futuro. 

Mobilitazione nazionale di fronte alle sedi delle Regioni

Misure economiche certe per tutta la durata della crisi

Nessuna deroga ai contratti nazionali ma, al contrario, una campagna per la stabilizzazione dei lavorator* precari, intermittenti impiegati in tutti i settori della nostra economia.

L’apertura di un tavolo di confronto per affrontare le problematiche dei lavoratori e delle lavoratrici maggiormente colpiti dalla crisi come gli stagionali, i lavoratori del turismo e della ristorazione, i dipendenti del settore spettacolo e cultura e quelli dello sport.

Una moratoria sugli sfratti e sui pignoramenti per tutte quelle famiglie che hanno accumulato morosità da gennaio fino a al termine del lockdown

Rilancio del settore pubblico attraverso investimenti e assunzioni negli Enti Locali, nella sanità, nella scuola (a cominciare dal settore 0-6) e nella tutela dell’ambiente.

 

Federazione del Sociale USB