Una protesta che sta oscurando i raid su Gaza,
i ragazzi: «Tel Aviv è troppo costosa»
dal nostro inviato Cecilia Zecchinelli
GERUSALEMME – «Rivoluzione», «intifada», «risveglio della società civile». Gli «indignados» di Tel Aviv rubano spazio sulle prime pagine dei media israeliani ai raid su Gaza e alla pace forse vicina con la Turchia. Accampati in tende con tanto di cucina da campo, divani ed elettricità (mancano solo i bagni), centinaia di giovani stanno occupando pacificamente piazza Habima e parte del viale Rothschild. Va avanti da giovedì e sono sempre di più, sostenuti da migliaia di abitanti: non per chiedere un cambio di regime come era stato in piazza Tahrir, ed è ancora nelle manifestazioni di molti, anzi tutti i Paesi vicini. Né per dire basta allo strapotere dei grandi partiti, come i ragazzi spagnoli in maggio. Oggetto dell’insolita iniziativa è l’aumento degli affitti che rende impossibile vivere nella Città Bianca alla nuova generazione. Perché qui più che altrove, in un momento di boom dell’economia israeliana, le locazioni e i prezzi degli appartamenti da due anni sono saliti alle stelle, contribuendo a fare di Tel Aviv la città più cara del Medio Oriente, la 26esima al mondo, più di Milano.
METÀ DEL REDDITO IN AFFITTO - «Sono giovane, senza figli, lavoro 5 o 6 giorni alla settimana e almeno metà del mio reddito va in affitto, non ha senso», ha dichiarato la regista freelance Dahni Leef, 25 anni, che ha dato inizio alla protesta creando una pagina Facebook dieci giorni fa. E trovando subito molti aderenti: nella città più trendy d’Israele, famosa per i suoi locali, le spiagge, la libertà, sempre più gente si sta trasferendo soprattutto da Gerusalemme, che al contrario diventa ogni giorno più «religiosa», non solo per i pellegrini di vari credo ma per il crescere in numero e rivendicazioni della comunità ebraica ultraortodossa che a Tel Aviv di fatto non c’è.
È INIZIATA COME UNA FESTA - Iniziata giovedì come una festa per strada, con chitarre e bevute in comune, la protesta di piazza Habima ha assunto nei giorni un tono più serio. Sabato vari politici si sono fatti vivi, quelli di governo fischiati, l’opposizione applaudita. Il sindaco Ron Huldai, che pur ha appoggiato le richieste dei giovani incolpando il governo centrale di non fare niente, è stato accolto da «buuu» e da una doccia di birra. E intanto ha dato il suo appoggio l’Unione nazionale degli studenti, che ha lanciato identici accampamenti in altre città, compresa Gerusalemme, da Be’er Sheva nel Sud a Kiryat Shmona al confine con il Libano. E sostiene che il problema non riguarda solo l’«élite gaudente» di Tel Aviv come molti dicono, ma tutti e in tutto il Paese.
BOICOTTAGGIO AL FORMAGGIO - Il mese scorso sempre da Facebook era partita una campagna di boicottaggio del formaggio bianco, il più usato in Israele e diventato carissimo. I 100 mila aderenti ufficiali alla campagna, più molti altri anonimi, han fatto crollare le vendite e costretto il «cartello del latte» ad abbassare i prezzi del 25%, anche per la pressione del governo. Il premier Netanyahu oggi ha comunque ammesso che il problema case esiste, ha convocato per domani una riunione d'emergenza del Parlamento, e invito gli «indignados» a venire a Gerusalemme per parlarne. Una prima vittoria, certo, ma in piazza Habima tutti si dicono che la battaglia sarà dura. E le discussioni continuano, tra un cocktail e l’altro, su come risolvere il problema per cui han lasciato le case (carissime) per dormire in tenda.