Dall’intervista di Landini a La Repubblica il grande pubblico scopre che siamo alla vigilia di una nuova richiesta del governo di accollare ai lavoratori il costo della crisi internazionale, operando ancora una volta su salari e pensioni. Un nuovo patto sociale, o accordo come preferisce chiamarlo Landini anche se la sostanza rimane identica, attraverso cui decidere quanta parte di sacrifici per contenere la crisi debba essere accollata ai lavoratori.
La risposta di Landini, dura nella forma, è debolissima nella sostanza.
Non una parola sulla guerra, sulla scelta del governo e dell’Unione Europea di prendere parte a un conflitto che ogni giorno di più si sta configurando come devastante per le popolazioni e per gli equilibri politici e geoeconomici mondiali. Non una parola per fermare il conflitto, fermare l’invio delle armi dal nostro Paese e dai Paesi europei all’Ucraina che alimentano una guerra per procura che sta facendo e farà danni incalcolabili sia sul terreno di battaglia che sul fronte interno, quello delle condizioni di vita delle masse popolari e dei lavoratori, in primis dell’Ucraina e della Russia ma anche, e già se ne vedono i primi effetti, di tutti i Paesi europei.
Il costo della vita, già impennatosi prima dell’avvio del conflitto per lo spropositato aumento delle fonti energetiche, sta diventando insostenibile a causa delle sanzioni imposte alla Russia, e quindi dell’aumento dei costi dell’approvvigionamento dei beni e servizi per i paesi che le applicano. I prezzi di generi alimentari, benzina, beni di prima necessità e materie prime stanno schizzando in alto ogni giorno di più mentre i salari sono fermi e non tengono l’aumento dei costi.
La scomparsa del meccanismo di adeguamento dei salari al carovita, voluto dal padronato e concesso graziosamente da Cgil Cisl Uil ha prodotto un impoverimento di massa che pone il nostro Paese agli ultimi posti in Europa per capacità di tenuta dei salari di fronte all’inflazione e alle fluttuazioni delle dinamiche economiche, sempre esposte agli avvenimenti geopolitici come sta avvenendo in questo frangente. La scelta di avere un meccanismo europeo, l’Ipca, di relativo controllo dell’aumento del costo della vita senza considerare il peso dell’aumento proprio del costo dell’energia, è stato un cedimento gravissimo degli stessi che oggi lo ritengono inadeguato, accettato nonostante fosse chiaro a tutti che quel meccanismo avrebbe prodotto un arretramento fortissimo della capacità dei salari di adeguarsi al carovita.
È a dir poco inaccettabile che Landini oggi riparta proprio da un piano energia per avviare la discussione con il governo.
Non ci può essere alcun confronto serio senza la fuoriuscita immediata dell’Italia dalla guerra, senza un intervento deciso e definitivo attraverso la ripubblicizzazione dell’aziende che producono e distribuiscono gas ed energia elettrica che solo può calmierare i prezzi riportandone il controllo sotto l’egida pubblica.
Non ci può essere nessun confronto che non parta dall’introduzione di un salario minimo di almeno 10 euro l’ora previsto per legge per chiunque lavori, affiancato da un reddito di cittadinanza senza condizionalità per chi non ha lavoro e da un blocco degli sfratti per chi non è più in grado di pagare affitti senza controllo, ma soprattutto serve un aumento immediato dei salari e delle pensioni che sono oggi al minimo storico rispetto a tutto il resto d’Europa.
Insomma, abbassare le armi e alzare i salari, come giustamente chiedono con forza quelli, gli operai, i braccianti, i facchini della logistica, i portuali e tutti coloro che approfitteranno dello sciopero del 22 aprile per portare in piazza a Roma la propria rabbia e la determinazione a tornare ad essere protagonisti della ripresa di un forte e determinante movimento di classe senza delegare a nessuno, tanto meno a Landini & co. la gestione delle loro vite.
Unione Sindacale di Base