Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

Gli editoriali Comunicati generali

Landini: Una lettura "di destra" della democrazia sindacale

Nazionale,

Anche volendo accettare che trovarsi da un giorno all’altro privi di diritti in azienda, come accaduto alla Fiom in Fiat, possa provocare uno sbandamento di un certo rilievo, l’intervista di Landini a La Repubblica del 17 gennaio lascia comunque basiti.

Il segretario della Fiom chiede al Governo (sic!) di ripristinare l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come era prima del referendum abrogativo parziale del 1995, cioè ripristinando quel primo comma che attribuiva alle Confederazioni maggiormente rappresentative la titolarità della rappresentanza.

Ricordiamo che il sindacalismo di base si fece, allora, promotore di un referendum abrogativo totale dell’articolo 19, al fine di obbligare il Parlamento alla definizione di una legge democratica e pluralista sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale. Al nostro referendum se ne aggiunse (o meglio, se ne oppose) però un altro, di parziale abrogazione dell’articolo 19,  promosso dalla sinistra sindacale dell’epoca, la cui approvazione ha prodotto il disastro dell’attuale formulazione dell’articolo 19, che assegna unicamente alle organizzazioni firmatarie di contratto la titolarità della rappresentanza sindacale.

Se oggi quella formulazione uscita dal referendum colpisce la Fiom, dal 1995 ha colpito e fortemente limitato la crescita del sindacalismo di base, impedendogli di avere le trattenute sindacali, il diritto a tenere assemblee in orario di lavoro, di sedere ai tavoli negoziali anche nelle aziende in cui rappresentava una cospicua e maggioritaria parte dei lavoratori, di esplicare di fatto le prerogative democratiche che dovrebbero essere patrimonio di ogni sindacato. Per non eccedere omettiamo di rammentare che questo scempio si andava ad aggiungere all’accordo di concertazione del ‘93 che attribuiva ai firmatari di contratto la riserva del 33% degli eletti a “prescindere” dai risultati elettorali, e di cui anche la Fiom ha lungamente beneficiato.

Avevamo capito, anche leggendo la proposta di legge sulla rappresentanza che la stessa Fiom non più di alcuni mesi orsono aveva preparato e su cui aveva raccolto migliaia di firme, che l’intenzione di questa organizzazione fosse quella di farsi portavoce ed alfiere di quanti da tempo reclamano una legge democratica di definizione dei criteri di rappresentanza e rappresentatività, cosa che, seppur avveniva con grande ritardo e solo perché direttamente colpiti da Marchionne, ci sembrava iniziativa utile e giusta (anche se non condividiamo alcuni aspetti della legge in questione, ma questo oggi è assolutamente marginale).

L’odierna dichiarazione di Landini, che va oggettivamente in una direzione completamente opposta a quella sostenuta anche dalla stessa loro proposta di legge, è per noi non solo incomprensibile, ma la riteniamo anche sbagliata e pericolosa.

Sbagliata perché consente di accantonare definitivamente l’esigenza di una legge che regoli definitivamente la materia e pericolosa perché lascia nell’indeterminatezza l’individuazione dei soggetti rappresentativi: chi sono le confederazioni maggiormente rappresentative, sulla scorta di quali criteri andranno riconosciute tali, a chi sarà demandato il compito di individuarle? E in mancanza di una legge attuativa dell’articolo 39 della Costituzione, come si potranno evitare atteggiamenti discriminatori nelle aziende?

Comprendiamo l’angoscia di Landini che deve sbaraccare le sale sindacali in aziende in cui la presenza della sua organizzazione è storica e radicata, lo invitiamo però a maggiore lucidità e rammentarsi che spesso, anche con il loro tacito assenso, l’articolo 19, così come è ora, è servito a far tacere altri.

Una volta la Camusso citò una famosa e bella poesia, attribuita a Brecht o a Niemöller (*);  non vorremmo, cari compagni della Fiom, che anche voi, come lei, la rammentaste solo quando ad essere sotto attacco è la vostra organizzazione. La democrazia o è per tutti o non è.

 

(*) Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.