Dalla pubblicazione del Decreto Rilancio, assistiamo quotidianamente alle grida di dolore delle low cost che oggi si accorgono di dover uniformare i trattamenti retributivi a quelli del contratto nazionale di settore, dopo anni di folle deregulation praticata nell’assoluta libertà di fare come pareva loro.
Condiviso l’obiettivo dello sviluppo dell’aviazione civile, sarebbe però inammissibile continuare a mantenere trattamenti diversi tra vettori, sia sotto il profilo dei contratti, sia per le sovvenzioni arbitrarie destinate a queste compagnie, che hanno creato molte disparità e danni. In Italia la latitanza di una politica nazionale e con la connivenza delle gestioni aeroportuali, le low fare hanno sviluppato dimensioni patologiche e coprono circa il 60% del mercato, diminuendo l’autonomia per gli interessi generali (come abbiamo visto nella pandemia), cosa inaudita in altre nazioni europee.
Ciò è stato possibile non solo per l’efficienza ma anche per la pratica di un dumping generalizzato. Come accade ad esempio per i salari (ben sotto il CCNL e in alcuni casi anche sotto il livello di dignità...), per la disapplicazione dello Statuto dei Lavoratori, grazie al godimento di regimi fiscali e contributivi di assoluto favore come quello irlandese e all’utilizzo di fondi pubblici dai territori per centinaia di milioni di euro l’anno, attraverso il co-maketing. Sono quote elargite a piene mani dagli enti locali a caccia di passeggeri per alimentare traffico dei propri aeroporti, pratiche che ci sono da almeno 15 anni.
La presenza anomala raggiunta dalle low cost e il fatto di avere tutte sede legale fuori del territorio italiano, permette loro di ricattare il nostro Paese. In particolare soffrono quei territori che si sono però stoltamente affidati e legati, mani e piedi, ai servizi di queste compagnie. Ora, al primo timido tentativo di interrompere il dumping scaricato sui lavoratori attraverso bassi livelli retributivi, quelle low cost minacciano addirittura di ricorrere in Europa. Peccato che in Francia dal 2009, ad esempio, esistano tutele ben più solide per gli interessi della compagnia di bandiera transalpina.
Lo scandalo però è che si siano accodati esponenti governativi o istituzionali come il viceministro ai trasporti Cancelleri o il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, cui devono essere sfuggite parecchie cose, anche rispetto ai movimenti politici di appartenenza. Da loro e spiace, viene la richiesta di modificare gli articoli del decreto che introduce regole di dignità e una protezione minima dei lavoratori.
Ma vorremmo sapere se il sindaco Leoluca Orlando, ad esempio, sia a conoscenza del fatto che dall’aeroporto di Punta Raisi opera stabilmente una compagnia aerea danese-lituana sussidiata con fondi della Regione Sicilia per le rotte verso Lampedusa e Pantelleria, la quale non ha nemmeno un CCL e fa lavorare dipendenti lituani mentre tiene in cassaintegrazione i lavoratori italiani. Oppure, il sindaco dovrebbe chiedersi come mai i cittadini siciliani siano costretti a sborsare alle low cost cifre da capogiro quando tornano a casa nei periodi festivi mentre quelli sardi hanno la tariffa fissa 365 giorni l’anno.
Questo è il trasporto aereo “fai da te” e il bengodi che ha avvantaggiato vettori di altre nazioni e che ha penalizzato l’Italia, nei collegamenti intercontinentali, nelle risorse fiscali e sociali per miliardi di euro drenati negli anni. Capitali molto più alti delle cifre date ad Alitalia, tra l’altro mostruosamente gonfiate dai liberisti di turno in cerca di notorietà, questo è il sistema malato che ha provocato le crisi a catena di tutte le compagnie italiane. Questo è ciò che non vogliamo, il caos contro il quale abbiamo combattuto da anni.
La parità salariale e il sistema riformato sono elementi per la dignità che vanno difesi, che non si possono e non si devono toccare per non essere destinati a rimanere una colonia, un Paese dove sono troppo forti e non si controllano interessi di altri.
USB Lavoro Privato – Trasporto Aereo
6 giugno 2020