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Lettera aperta agli insegnanti delle scuole romane

Nazionale,

Car* collegh*,

Come insegnanti siamo consapevoli che non ci sia nulla di più fastidioso e invadente dei consigli o dei suggerimenti di chi ci dice cosa dobbiamo fare o come dobbiamo rapportarci ai nostri studenti.

Se ci permettiamo di intervenire è solo sulla base della nostra internità al mondo della scuola, del nostro sforzo per migliorarla, del nostro lavoro per rivendicare la funzione sociale degli insegnanti e dei lavoratori della scuola, per tutelare e sviluppare il principio di indipendenza culturale che è iscritto nel dettato costituzionale.

Non ci è mai piaciuto, peraltro, un atteggiamento di contiguità e di falsa amicizia tra docenti e studenti, perché riteniamo che il rapporto pedagogico sia una cosa troppo seria per ridurlo a una generica vicinanza umana, o a una perenne giustificazione delle scelte giuste o sbagliate degli allievi e che non producono crescita reale.

Ma un punto ci sembra debba essere oggi messo al centro del nostro lavoro, ovvero una percezione quanto più possibile chiara e consapevole di quel che si agita nella testa e nei cuori delle giovani generazioni.

Due cose stanno avvenendo, in questi anni di crisi pandemica dalla quale non siamo affatto fuori. I ragazzi si sentono spesso estranei alle istituzioni, e non hanno intenzione di vivere passivamente il loro disagio.

Come rispondiamo a tutto questo? Dopo tanti anni siamo in presenza di una disponibilità alla politica, nel senso più ampio e alto del termine, che rifà irruzione nelle scuole, specie in alcune città.

Roma è stata attraversata da circa 70 occupazioni. Questo dato numerico è importante perché rimarca il bisogno dei giovani di essere ascoltati rispetto al malessere che vivono. La Scuola evidentemente non sta riuscendo a dare loro strumenti né spazi per esprimersi, confrontarsi, crescere e in generale superare due anni di pandemia che li hanno segnati. Pensare di essere dentro a uno scenario consueto, di quella che Marcuse chiamava "tolleranza repressiva”, sarebbe un errore di prospettiva notevole. Oggi la risposta istituzionale è molto netta e passa da chiusure a ogni tipo di dialogo e all'uso dello strumento repressivo-disciplinare come unica risposta a quanto avviene.

Su questo siamo chiamati a una responsabilità notevole. Non per avallare ogni decisione studentesca, non è questo il punto, ma per chiederci come rispondiamo a questo bisogno di prospettiva che le proteste studentesche indicano chiaramente.

Non è pensabile stare sul piano della circolare dell'USR Lazio o dei verbali dei Consigli di Istituto o dei CDC di tante scuole romane, tutti attenti a stigmatizzare la dimensione vandalica (ma un'inchiesta sulle condizioni materiali di quelle scuole non la fa nessuno, né il MIUR né altri), a chiedere il "massimo della pena", a chiudere la partita prima ancora di iniziarla.

USB non intende accettare questo ruolo da esecutori e invita tutti i colleghi a problematizzare le questioni, ricordando che la chiusura degli spazi democratici per gli studenti e la liquidazione tutta disciplinare delle questioni, è preludio di una perdita di democrazia complessiva nelle scuole che riguarda tutti, ed è già in corso da tempo.

Fermiamo i procedimenti disciplinari e troviamoci dopo la pausa natalizia per una assemblea cittadina, aperta a tutto il mondo della scuola. Ne daremo presto notizia più precisa, intanto invitiamo tutti a condividere questo testo, a discuterlo, a scriverci, a fare di questa discussione non un fastidioso accidente ma un importante momento di riflessione su quello che rischiano di diventare definitivamente le nostre scuole.

scuola@usb.it