Dottor Lucibello,
molto probabilmente anche lei conosce la lettera, pubblicata sulla Repubblica del 14 gennaio u.s., con la quale il prof. Micheli motiva al Ministro Brunetta le sue dimissioni dalla CIVIT, la Commissione per la Trasparenza, l’Integrità e la Valutazione delle Amministrazioni Pubbliche. Non possiamo che condividere l’analisi della riforma che viene fatta all’interno della lettera. La lucidità con la quale vengono espresse alcune importanti affermazioni assume un ampio rilievo in quanto non “di parte”, come potrebbe essere etichettata un’analoga analisi sindacale, ma proveniente da un professore universitario chiamato ad assumere un ruolo di rilievo all’interno di quello che è stato definito il processo di riforma della Pubblica Amministrazione :
“…il pressing sui fannulloni ha dato i suoi frutti all’inizio (riduzione dell’assenteismo) ma ha finito anche per deprimere la reputazione e il senso di appartenenza di tanti dipendenti pubblici, e dato che queste sono le leve motivazionali più potenti, sarà dura riuscire a (ri)motivare il personale pubblico a far meglio con l’uso di tornelli, telecamere, bastoni e carote (per altro sparite dopo la recente legge di stabilita)”.
In sostanza il prof. Micheli mette in risalto come, motivazione e senso di appartenenza, dovrebbero essere i perni intorno ai quali far ruotare tutto il sistema di gestione della componente personale all’interno di qualsiasi organizzazione del lavoro. Tanto più se questa è pubblica, visto che i pubblici dipendenti sono chiamati, nelle loro diverse funzioni, a fornire servizi alla cittadinanza e quindi a percepire, in forma spesso tangibile ed immediata, il senso del loro operato.
A questi due requisiti fondamentali noi ne aggiungiamo un terzo, il lavoro di squadra, osannato dai testi sacri sull’organizzazione del lavoro fino a qualche anno fa ed ora triturato dall’individualismo più sfrenato imposto dalla competizione tra singoli, in omaggio alla meritocrazia.
Il senso di appartenenza ha sinora caratterizzato fortemente il personale del nostro Istituto. Così, ormai periodicamente, siamo chiamati a ricordare a chi non conosce a fondo e da tempo il personale Inail che nel nostro Istituto operano migliaia di lavoratori che - nonostante le alterne, brutte ed a volte squallide vicende che negli anni il nostro Ente ha attraversato - hanno sempre mantenuto alto il loro livello operativo e non solo in termini di quantità, nella consapevolezza della necessità di continuare, nonostante tutto, a fornire risposte adeguate ad un’utenza particolare come quella degli infortunati sul lavoro.
Tuttavia il senso di appartenenza come sappiamo tutti è strettamente correlato alla motivazione e qui iniziano i problemi. Non si tratta solo della mancanza della “carota”, come la definisce anche il prof. Micheli, sottratta dalla legge di stabilità ai lavoratori pubblici. Certo il blocco dei contratti, il tetto al 2010 delle retribuzioni per il triennio 2011-2013, il taglio dei fondi per il salario accessorio, la penalizzazione economica della malattia, l’innalzamento dell’età pensionabile alle donne… non contribuiscono certamente a motivare il personale pubblico. Ma sicuramente anche alcune scelte tutte interne all’Amministrazione pesano, e pesantemente, ci passi il gioco di parole, sulla motivazione dei lavoratori. L’aver deciso che le posizioni organizzative e le posizioni fisse venissero attribuite in maniera del tutto discrezionale dalla dirigenza ha reso evidente che troppo spesso non serve operare al meglio, perché i criteri di scelta sono altri, i più svariati, che poco hanno a che fare con il merito. Almeno con quello lavorativo. L’aver scelto di fare procedure concorsuali non a titoli, ma ad esami, per un semplice avanzamento economico, ha lasciato l’amaro in bocca ai tanti lavoratori che fanno il confronto con quanto avvenuto in passato e con quanto accade nel presente in altre pubbliche amministrazioni, anche in quelle “vigilanti”.
Sono molte le ragioni della demotivazione del personale. Pensiamo all’area B composta da personale che non ha usufruito dell’ultimo passaggio tra le aree risalente a circa tre anni fa, perché non c’erano posti disponibili, o perché non in possesso del titolo di studio richiesto. Area B in parte composta da ex CFL che, prima perché non in ruolo poi per carenza di posti per avviare la procedura concorsuale, tra l’altro (grazie a Brunetta) destinata solo ai possessori di laurea, rischia di restare fermo per chissà quanti anni alla casella di partenza. Per questi lavoratori il gioco dell’oca delle procedure concorsuali o si è fermato non appena iniziato, o si è fermato prima ancora di iniziare: eppure sono tutti lavoratori che da anni svolgono mansioni superiori, indispensabili al raggiungimento di quei risultati che l’Amministrazione sbandiera nei convegni pubblici.
Qual è la motivazione che dovrebbe spingere questi lavoratori a dare più di quello che già danno? Perché la dirigenza , tanto solerte nell’esercitare il proprio potere attraverso l’attribuzione delle posizioni organizzative e delle posizioni fisse, non si assume la responsabilità di riconoscere a questi lavoratori l’effettuazione delle mansioni superiori? Perché l’Amministrazione non ha fatto lo sforzo di ricercare in sede di destinazione del fondo almeno un riconoscimento economico, come da noi richiesto, che rappresentasse per questi lavoratori un segnale, anche se parziale ed insufficiente?
Lo stesso discorso potremmo fare per i lavoratori dell’area A, etichettati ancora come ex portieri anche se ormai lavorano nell’Istituto da circa 10 anni. Che prospettive hanno questi lavoratori? Cosa dovrebbe motivarli, la pacca sulla spalla del dirigente o piuttosto la consapevolezza eterna e sufficiente di essere dei fortunati perché dipendenti, non disoccupati, non cassaintegrati, non in mobilità…?
Pensiamo ai lavoratori dell’area sanitaria che assistono, quasi increduli, ad una sorta di schizofrenia organizzativa che da un lato esalta la tutela globale dell’infortunato e la sua presa in carico e dall’altro sforbicia gli organici creando situazioni di esubero e perpetuando differenziazioni economiche non giustificate, almeno nella nostra organizzazione del lavoro, per professioni che rispondono innanzitutto a precisi codici deontologici.
Pensiamo ai lavoratori della Contarp che mentre guardano dalle loro finestre un chiuso quanto inutile laboratorio per lo studio dell’endometriosi (ma quanto è costato?) sono completamente all’oscuro di come avverrà il processo di integrazione con l’Ispesl, e delle ricadute organizzative che inevitabilmente comporterà sul personale e sulla sua attività.
L’elenco potrebbe essere ancora lungo, ma preferiamo fermarci qui, per chiederle, Direttore, come pensa in questo contesto di poter applicare in maniera indolore la riforma Brunetta L’applicazione delle fasce, anche se non legate al trattamento economico, e non per apertura politica dell’Amministrazione come vorrebbe far credere qualcuno ma per necessità, visto il tetto delle retribuzioni imposto dalla manovra economica, acuirà ancora di più un clima che definire non sereno è un eufemismo, in un contesto organizzativo che, senza voler mettere il dito nella piaga del click day, è ancora lontano dall’aver raggiunto il massimo dell’efficienza. E come afferma Micheli “…in nessuna organizzazione la valutazione individuale può dare buoni frutti se non c’è una buona gestione organizzativa…” .
Ricordiamo ancora le sue parole ad uno dei primi tavoli di trattativa all’Inail quando affermava che la Brunetta sarebbe stata applicata solo e nella misura in cui non avrebbe creato ripercussioni sull’attività lavorativa dell’Istituto.
Avevamo colto con favore questo suo intervento da uomo “libero”, conoscitore attento della Pubblica Amministrazione. Cosa è cambiato da allora e perché non ha ritenuto opportuno intervenire personalmente, su una materia tanto delicata, invece di relegarla e delegarla al tavolo tecnico?
Non le nascondiamo Direttore che ci saremmo aspettati e continuiamo ad aspettarci da lei un’impronta gestionale che ancora facciamo fatica ad individuare. Troppe sono le domande senza risposta, troppo viene deciso “per presa visione”, troppe sono le richieste del personale che rimangono inascoltate.
Per questo chiediamo un incontro politico con i vertici dell’Amministrazione, per questo le chiediamo di riflettere con attenzione prima di partire in quarta con l’applicazione di una norma inefficace (“…i vizi di un sistema da riformare non sono stati affrontati in modo corretto e con l’intensità di energie politiche e di risorse economiche che la sfida richiede…”), confusa, ostacolata da provvedimenti legislativi successivi e contrastanti. Per evitare che il meccanismo dei premi e della sanzione finiscano per essere il vero ed unico fulcro dell’azione di riforma peraltro lasciato in mano ad una classe dirigente che ha dato pessima prova di sé sia con le posizioni organizzative che con l’attribuzione dei parametri 0,90-1-1,10
Roma, 25 gennaio 2011
USB – P.I.
Coord. Naz. INAIL