Sono oramai 52 giorni che ci troviamo, di nuovo, agli arresti domiciliari: privati della nostra libertà, della possibilità di vivere nelle nostre abitazioni (perché occupate), per uno di noi senza nemmeno il “beneficio” di poter andare a lavorare. In questi 52 giorni non è neppure stata fissata la data per l’udienza di riesame a cui abbiamo fatto appello attraverso i nostri legali. Non sappiamo quale sia il reale livello di macchinazione dietro a questi avvenimenti, ma è certo che ci troviamo in una condizione di completa sospensione e che non è possibile - ad oggi – immaginare quando questa situazione potrà risolversi.
Che dire di questa procedura? Va letta come un fatto normale e “accettata” come prezzo da pagare per ciò che si è prodotto, da almeno un anno, a Roma e nel Paese?
Noi crediamo di no. Questa vicenda rappresenta un tassello di un più ampio tentativo di normalizzazione in atto. Un attacco che porta le insegne del “Nuovo Partito Democratico” di Renzi & co. e colpisce, attraverso misure di controllo preventivo, l’azione diretta e l’autorganizzazione. Un attacco che va respinto al mittente. Dobbiamo ribellarci per difendere ed estendere le lotte sociali contro le privatizzazioni, per la difesa dei beni comuni e dei territori; le lotte contro l’austerità e la precarietà, per la casa ed il reddito. Tanto più va difeso lo spazio di possibilità che abbiamo determinato. Quello squarcio nei meccanismi di potere e sfruttamento che lascia intravedere la possibilità di conquistare diritti, di costruire una concreta e radicale alternativa allo stato di cose presenti.
Nella loro complessità, nell’intreccio delle differenze, le esperienze che hanno sostenuto e realizzato il 19 Ottobre hanno prefigurato questo e molto altro, generando entusiasmo, nuovi processi di aggregazione e di riappropriazione.
Proprio ora, mentre si discute del prossimo autunno e del prossimo anno di lotte, è necessario fare i conti con le decine di misure coercitive che vengono emanate ai danni di tanti attivisti ed attiviste, alzare la voce per rivendicare la legittimità delle pratiche messe in campo, per rilanciare questo percorso di conflitto e liberazione.
Rimuovere ciò che sta accadendo non è possibile. Leggere l’aggressione che stiamo subendo come qualcosa di ordinario, potrebbe rivelarsi un grave errore. Nessuna delle nostre storie può essere giudicata e risolta in un’aula di tribunale. Anche per questo crediamo che sia necessario - ora e subito - farla finita con questo irricevibile sequestro di persona.
Paolo Di Vetta
Luca Fagiano