LA STORIA DI OMAR
Buongiorno a voi, quella che vi sto raccontando è la mia breve storia ma che rappresenta la situazione e il disagio di migliaia di persone che vivono l’emergenza e la precarietà abitativa.
Sono Omar Ahmed Abdel Azim un cittadino italiano di 23 anni che vive insieme a mio fratello Mohamed Soliman Selim di 17 anni e mia madre Samia Hassanein Mohamed Hassanein di 59 anni. Io, studente universitario e mio fratello, studente liceale siamo nati in Italia ed abbiamo la cittadinanza italiana, mentre mia madre ha la cittadinanza egiziana con permesso di soggiorno illimitato. Siamo una famiglia residente in Italia da 40 anni, mio padre è venuto in Italia nel 1981 e ha lavorato come lavapiatti e poi come cuoco, mia madre dal 1996.
Sono più di due decenni che viviamo in condizioni precarie, spostandoci da una parte all’altra, tra affitti e subaffitti senza contratto per la maggior parte delle volte, centri di assistenza alloggiativa “temporanea”(RESIDENCE), centri di accoglienza e case famiglia. Questa situazione ha contribuito a causare un forte disagio abitativo.
1996-2011
Dal 1996 fino al 2001 abbiamo abitato in vari appartamenti spostandoci periodicamente da una parte all’altra, finché nel 2001, quando vivevamo in un appartamento senza contratto, il proprietario ebbe bisogno di riavere la casa indietro. Allora ci consigliò di andare al residence Bravetta: ci siamo stati 5 anni, fino alla chiusura nel 2006, pagando 500 euro al mese per una stanza fatiscente in condizioni pessime, in un luogo pieno di topi e scarafaggi, quest’ultimi presenti addirittura negli zaini di scuola. Inoltre nella struttura non funzionava l’ascensore ed erano presenti montagne di rifiuti.
Dopodiché il Comune di Roma ci ha spostato in un altro residence a Val Cannuta, per 6 anni, dove vivevamo due piani sotto il livello della strada, una sorta di garage. Questo posto si è rivelato problematico fin dall’ingresso a causa della difficile convivenza con gli inquilini: violenza, urla continue , muri spaccati con i mobili di casa, eroina. Nei confronti di questi inquilini abbiamo effettuato un esposto al commissariato di polizia di Roma Aurelio nel 2011 ed abbiamo parlato con la direttrice del residence di Val Cannuta, spiegandole della problematica e chiedendole per quale motivo dovevamo vivere in quel disagio. Lei ci ha risposto per assurdo “perché voi siete persone per bene!!”, come se fossimo noi a doverci occupare di violenza e abusi di stupefacenti. Quando se ne andarono ne sono subentrati altri altrettanto problematici.
Alla fine ce ne siamo andati per la nostra incolumità poiché non venivamo visti di buon occhio dagli inquilini del residence a causa del fatto che avevamo fatto mandare via i vicini turbolenti. Ancora una volta ci siamo spostati, non per un vostro intervento, non per star meglio, ma per gli insulti di chi tra l'altro era nella nostra stessa condizione di precarietà di cui siete responsabili.
2012-2016
Nel 2012 allora decidiamo di affittare un appartamento sul mercato privato, in un appartamento dal canone mensile di 1000 euro ma iniziano i problemi del lavoro di mio padre (che viene licenziato dal ristorante per cessata attività nel 2015) e quindi non riusciamo a pagare l’affitto, divenendo in seguito inquilini morosi. Così nel settembre 2014 veniamo sfrattati dalla casa, dopo che lo sfratto viene emesso nel 2013 dal tribunale di Roma.
A quel punto il Comune ci ha diviso mettendoci io mia mamma e mio fratello in un centro di accoglienza, gestito dalla cooperativa UN SORRISO, fuori Roma sulla via Nomentana per 3 mesi: un posto lontanissimo. Per poter andare a scuola impiegavamo 2h e al ritorno a casa 2h. Inoltre mamma era costretta a rimanere 8 ore per strada ad aspettarci in panchina fino a che tornavamo. Poi in un secondo centro sulla via Cassia, gestito dalla cooperativa VIRTUS ITALIA ONLUS per 2 anni (dal dicembre 2014 al gennaio 2017). Di nostro padre non ne abbiamo saputo niente ad oggi.
Per quanto riguarda il rapporto con i servizi sociali, essi non hanno dato soluzioni adeguate alla problematica del nucleo familiare, o in altre parole hanno fornito solo interventi su base emergenziale. I loro colloqui sono stati la maggior parte delle volte a base di minacce, dove dicevano di separarci da nostra madre, questo per lucrare meglio sulle persone.
La vita dentro i centri di accoglienza si è rivelata assolutamente insostenibile e disumana. Ad esempio, nel 2016 un’operatrice del secondo centro accoglienza ci ha negato la cena con la scusa che stavamo li da 2 anni. In conseguenza a questo vergognoso episodio, sulla base di una relazione della mia ASL dove si chiedeva ai servizi sociali di inserire il nucleo familiare in un alloggio dove non ci siano servizi in comune e dove sia garantita la privacy, il Comune ci ha proposto una casa-famiglia a via del Casaletto, zona mal collegata: si trattava di una stanza in un seminterrato dove non ci stava la finestra e bisognava cucinare e dormire in essa. Nel 2015 ci è stata anche proposta una casa-famiglia in condivisione con 2 famiglie nella zona di Rebibbia.
Sulla base di questo primo rifiuto, la responsabile del centro accoglienza ci minaccia dicendoci che se non accettavamo le alternative proposte dal Comune, scriveva al giudice e toglieva i figli. Noi le abbiamo risposto che le loro minacce non ci fanno affatto paura e che potevano fare quello che desideravano. Alla fine entrambe le alternative le abbiamo rifiutate perché erano soluzioni inadeguate per il nucleo familiare.
In più il centro accoglienza, forse in stretto coordinamento con i servizi sociali, hanno portato mia madre da una psicologa del San Gallicano, con la scusa di dover fare un controllo sulla salute mentale. Ma presto scopriamo che era un piano per separare il nucleo familiare. Va fatta una precisazione: sia il centro accoglienza sia i servizi sociali avevano scritto al giudice del tribunale per i minorenni di Roma chiedendo che venissero tolti i figli dalla madre, ma il giudice nel 2015 rispose con un decreto che il nucleo familiare doveva stare insieme (si allega decreto del tribunale).
Dopo tale permanenza decidiamo di non farcela più in quanto i centri di accoglienza sono posti vergognosi ed insostenibili. Mia madre decide di riportarci in Egitto, ma dopo due mesi siamo costretti a tornare per mancanza di alternative.
2017-2021
Era il 2017: una volta rientrati in Italia mio fratello è finito in casa-famiglia purtroppo tramite la firma di mia madre. In più quando siamo andati dai servizi sociali con la signora della Moschea che ci aveva trovato le stanze in subaffitto per parlare con loro, l’assistente sociale che allora ci seguiva, ci ha detto: “Signora, voi avete rifiutato 2 posti e siete usciti da due posti (in quanto vergognosi). Suo figlio minorenne è in casa-famiglia e lei e suo figlio maggiorenne dormite per strada”.
Abbiamo chiesto anche aiuto alla Moschea a Centocelle, ma alla fine tramite una signora egiziana che frequenta spesso questo luogo abbiamo trovato una stanza in subaffitto che si affacciava alla Moschea da una signora tunisina dove ci siamo rimasti per un mese. In seguito abbiamo subaffittato una stanza a 400 euro in un appartamento in condivisione con altre due persone, che lasciamo a causa di episodi spiacevoli e a causa della differente ideologia politica (gli inquilini in questione facevano parte del movimento di estrema destra dei Fratelli Musulmani).
Da agosto al dicembre 2017 siamo stati in un altro subaffitto di una stanza in un appartamento fatiscente dove il riscaldamento era spento e dove mia madre lavava i piatti con acqua fredda. Siamo andati via da quella casa a causa di liti tra inquilini (di nazionalità egiziana): in particolare si lamentavano del fatto che utilizziamo molta acqua e che influiva sul costo della bolletta.
Dal dicembre 2017 ad aprile 2018 siamo stati in condivisione in un'altra stanza subaffittata con una coppia asiatica (un pakistano e una cinese): essi prendevano l’affitto della stanza intascando i soldi e non pagando la quota al proprietario, rubando la spesa e lasciando nel bidet “mostruosità oscene”. La coppia in questione era una coppia lavoratrice e aveva uno sfratto, informazione che abbiamo scoperto successivamente dal proprietario. In seguito poi con altri inquilini sempre in subaffitto ( di cui una in una casa popolare).
Inoltre abbiamo vissuto in strada per una settimana e siamo stati in albergo per 5 mesi: proprio a causa di questa situazione insostenibile io ho tentato il suicidio e sono stato ricoverato in ospedale per 15 giorni. Mia mamma in questi anni si è sentita male, tanto da essere portata diverse volte in ambulanza.
Nel febbraio 2019 siamo arrivati in un appartamento fatiscente, dal quale abbiamo subaffittato una stanza da un’inquilina sempre in nero, con il presunto contratto a nome della signora etiope : 350 euro all'inizio, poi 245 perché sono arrivati altri inquilini, i quali erano sporchi, non pagavano le bollette, allora abbiamo smesso di pagare la locazione in quanto il proprietario ci ha proposto di pagare il prezzo dell’intero appartamento, con il presunto contratto a nome dell’inquilina.
A marzo 2021 il proprietario ha staccato le utenze, ma noi le abbiamo sempre pagate. Inoltre il proprietario e il figlio hanno provato a intimidirci con abusi e minacce: in particolare un giorno mentre mio fratello stava facendo i compiti, il proprietario ha aperto l’appartamento con le chiavi di cui ne è in possesso. Per lavare i vestiti con acqua fredda e per rifornirsi di acqua in bottigliette mia madre fa 2 chilometri a piedi per arrivare alla prima fontanella funzionante. A mamma le stanno facendo male le mani. I telefoni li ricarichiamo al McDonald's o al centro commerciale e mio fratello fa i compiti con la torcia dello smartphone, ma ormai si sta rovinando gli occhi.
Oggi
L'appartamento dove ci troviamo ora ("probabilmente un ex lavatoio") è pieno di macchie di umidità e di crepe, ci sono fili scoperti e prese elettriche precarie. E da metà ottobre a tutto ciò si sono aggiunte le visite di alcuni personaggi che provano a intimidirci.
A ottobre 2021 si presenta un signore sulla cinquantina che dice di essere il nuovo proprietario e che dobbiamo trovarci un'altra sistemazione. Poi, il 6 novembre, sempre la stessa persona ritorna accompagnata da un altro uomo, forse un fabbro, staccando la porta d'ingresso e portandosela via. Hanno provato anche a divellere le finestre, ma le abbiamo rimesse. La porta, per fortuna, gli è stata rimessa da un ragazzo che fa parte di Sciopero degli Affitti.
Le visite sgradite però continuano: infatti Il 7 novembre arriva un'altra persona sempre per intimidirci. Ci ho discusso, sono stati momenti di tensione, stessa cosa due giorni dopo quando si è presentato il presunto proprietario, che non ci ha mai fatto vedere l'atto di compravendita, accompagnato da una seconda persona.
Inoltre la nostra situazione è seguita dal sindacato ASIA-USB dall’aprile 2021, il quale oltre a presentare una nuova domanda di alloggio popolare (si ricorda che la famiglia in questione è in graduatoria dal 2014 e attualmente sono in posizione n.4000 con soli 26 punti), ha tentato di trovare una mediazione con il proprietario, ma senza successo. Inoltre l’8 novembre scorso ci hanno accompagnato al Commissariato Casilino Nuovo per sporgere denuncia contro il proprietario, ma non essendoci il contratto non è possibile effettuarla. Tuttavia ci è stata fatta dalla polizia un’elezione di domicilio il 1 dicembre, importante per poter avviare una denuncia contro il proprietario, cosa di cui si sta occupando un avvocato.
La nostra situazione è stata denunciata anche alla stampa: ci sono articoli di giornale e trasmissioni televisive nazionali e TV locali che hanno trattato la nostra vicenda. Ma è arrivata anche al Comune, con l’intervento dei due consiglieri del Comune di Roma Yuri Trombetti (presidente Commissione Patrimonio e Politiche Abitative) e Nella Converti (presidente Commissione Politiche Sociali), entrambi del Partito Democratico che governa la città di Roma, che sono venuti a visitarci il 9 dicembre 2021.
Attualmente mio fratello non sta andando a scuola in quanto trovandosi in una situazione molto complicata dove non può studiare senza luce. Noi non ci possiamo fare la doccia in quanto nell’alloggio sono state staccate le utenze e mangiamo in maniera inadeguata, in quanto il gas non è presente in casa.
Io ho un’invalidità civile riconosciuta dalla ASL al 75%(DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO- Sindrome di Asperger).
Quello che si chiede è un alloggio dignitoso, degno di essere chiamato CASA. Non un residence, non una casa famiglia, non il co-housing con altre persone che non conosciamo, alla luce anche delle molte bruttissime esperienze avute. Deve essere un alloggio dignitoso vero e proprio adatto alle esigenze del nucleo familiare.
La precarietà abitativa è una forma di guerra strisciante, silenziosa ma che in egual modo miete vittime e distrugge le esistenze delle persone cancellando la loro dignità umana e tutto questo avviene nella totale indifferenza dello stato e delle istituzioni in violazione della costituzione repubblicana e democratica e non rispettando le convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato. Infine, il problema dell’emergenza abitativa va affrontato sul piano economico-sociale, non attuando sfratti e sgomberi con le forze dell’ordine senza fornire alcun tipo di soluzione abitativa adeguata!!!
Per maggiori approfondimenti:
STORIE ITALIANE RAIUNO
CANALE 10: https://www.youtube.com/watch?v=UxIBBP2PiOo