Ad un anno di distanza il governo Meloni ripropone lo stesso cliché del 1° maggio del 2023 e si appresta a tirar fuori un nuovo decreto-annuncio sul lavoro per nascondere il baratro verso il quale ci sta portando. Alla vigilia dell’incontro con i sindacati previsto per il 29 aprile alle 18 (convocata anche USB) non si conoscono ancora le proposte contenute nel decreto che andrà all’approvazione del Consiglio dei ministri il 30 aprile, anche se le anticipazioni dei media lasciano capire di cosa si tratta: decontribuzioni per le imprese, bonus di Natale per lavoratori con figli a carico, conferma del taglio del cuneo fiscale (forse), detassazione del welfare aziendale. Un pacchetto di misure “fumo negli occhi” in attesa delle elezioni europee e prima del grande freddo previsto per il prossimo inverno.
Il governo sa bene infatti che il 19 giugno l’Italia finirà in procedura di infrazione per deficit, avendo sforato assieme ad altri paesi europei il famoso tetto del 3% e dovrà predisporsi ad una restrizione di bilancio di almeno 10 miliardi l’anno (secondo le previsioni più ottimistiche dell’Ufficio parlamentare di Bilancio) fino al 2031. Un autentico salasso per le finanze pubbliche che costringerà a tagli pesanti nella carne viva della società: scuola, sanità, infrastrutture, servizi, case popolari.
Si tratta dell’applicazione della Riforma del Patto di stabilità e crescita, approvata dal parlamento europeo il 23 aprile u.s. (sia pure con l’astensione dei parlamentari italiani) e che era stata strombazzata a fine anno come un successo della contrattazione del nostro governo in sede europea. Ora i nodi stanno per venire al pettine ma il governo preferisce riparlarne dopo il voto.
Le proposte che il governo illustrerà anche alla delegazione dell’USB non sono suscettibili di modifiche, giacchè il governo ha già programmato l’approvazione delle misure per il Consiglio dei Ministri di martedì 30. A Palazzo Chigi quindi non è previsto nessun confronto vero. Tuttavia l’USB ha ben chiaro cosa dovrebbe fare il governo in questa condizione e non rinuncia ad avanzare le sue proposte:
- Sul cuneo fiscale, bonus e decontribuzioni varie: se si riduce il carico fiscale sui lavoratori occorre incrementare le tasse su chi si è arricchito negli ultimi anni, altrimenti le minori entrate si trasformeranno in tagli dei servizi. Sappiamo che l’inflazione non è stata prodotta solo dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici ma anche dalla crescita dei profitti. Le imprese hanno aumentato i prezzi ed hanno incamerato maggiori profitti. Le banche, per esempio, hanno registrato utili per 43 miliardi solo nel 2023, triplicando la performance del quinquennio precedente. Senza un riequilibrio del carico fiscale in senso redistributivo non è possibile far fronte ai problemi di deficit delle finanze pubbliche, e gli effetti produrranno un taglio nei servizi, con effetti drammatici proprio su chi è a reddito fisso.
- Occorre introdurre un salario minimo per legge, indicizzato alla dinamica dei prezzi, di almeno 10 euro sui minimi tabellari. Questa è l’unica misura in grado di spostare verso l’alto i salari più bassi e generare una spinta positiva sulla dinamica di tutti i rinnovi contrattuali.
- C’è bisogno di reintrodurre un meccanismo di protezione dei salari dalle dinamiche inflazionistiche. La politica dei bonus non produce modifiche sostanziali ma serve solo a gettare fumo negli occhi e a distribuire briciole. La perdita di quasi il 15% del potere d’acquisto dei salari che si è registrata in media in Italia in questi anni va affrontata con interventi non episodici né sono sufficienti i rinnovi contrattuali che, per esempio, nel Pubblico Impiego recuperano meno di un terzo dell’inflazione.
- È ora di correggere quelle norme che favoriscono il part time obbligatorio o il lavoro a tempo determinato senza alcuna causalità, così come aveva indicato il Cnel nei mesi scorsi, per ridurre l’abuso di flessibilità che è uno dei fattori di impoverimento e di ricattabilità che grava su milioni di lavoratori e lavoratrici. È ora di rimettere mano alle norme sui licenziamenti (Jobs Act) che hanno reso insicuro e ricattabile il lavoro.
- Ma per combattere la precarietà e fermare al contempo la strage di lavoratori, occorre mettere mano al codice degli appalti, abolire il d.lgs. 276 del 2003 e il sistema di continua liberalizzazione degli appalti che quella norma ha favorito. E introdurre il reato di omicidio sul lavoro.
Queste misure, che USB propone da tempo, avrebbero un impatto positivo sulle finanze pubbliche, favorirebbero una ripresa del potere d’acquisto dei salari, ridurrebbero la precarietà e reintrodurrebbero un criterio di progressività fiscale, come è previsto dalla Costituzione. E darebbero un segnale forte contro l’abbassamento delle tutele in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il governo Meloni però guarda da un’altra parte ed ha altri obiettivi: tenere bassi i salari, come è stato stabilito da tempo dai vertici della Ue; procedere allo smantellamento dello stato sociale come propone anche il Piano Letta (il Nuovo Piano per la Competitività della Ue presentato da Enrico Letta a Bruxelles ai primi di aprile) in cui il ruolo dello Stato si riduce a quello di garantire gli investimenti privati in progetti destinati a servizi pubblici gestiti, però, secondo logiche di profitto; favorire un’ulteriore divaricazione tra territori più arretrati e zone avanzate del paese con l’autonomia differenziata; procedere con una riforma fiscale che mira a superare definitivamente ogni criterio di progressività.
In un quadro di politica economica dove campeggia il forte aumento delle spese militari e il crescente impegno nella proiezione bellica del nostro paese, per i lavoratori può esserci solo propaganda e fumo negli occhi. Smascherare il senso di queste operazioni è il primo passo per riuscire a fermarle.
Unione Sindacale di Base