Più di 13 miliardi di euro saranno presto spesi per comprare 90 cacciabombardieri F-35 e quasi 3 miliardi sono stati spesi per avviare il progetto e lo stabilimento all'interno dell'aeroporto militare di Cameri.
Ci sono poi le altre spese in armamenti:
più di 18 miliardi di euro per 121 caccia Eurofighter in previsione fino al 2018
4 miliardi di euro fino al 2018 per 100 elicotteri di trasporto tattico Nh-90,
1,39 miliardi di euro fino al 2016 per la nuova portaerei Cavour
1,5 miliardi di euro fino al 2015 per due fregate antiaeree della classe Orizzonte
5,68 miliardi di euro fino al 2019 per 10 fregate europee multimissione Fremm
1,885 miliardi di euro fino al 2016 per quattro sommergibili U-212
1,5 miliardi di euro fino al 2013 per 249 veicoli blindati medi Vbm 8x8 Freccia.
E' mostruoso pensare di creare sviluppo economico con la produzione di armi da parte di gruppi industriali come Finmeccanica mentre si tagliano le spese sociali.
Non sarà risparmio strutturale, ma ridurre le spese per armamenti libererebbe risorse che sistematicamente ormai sono versate dai comuni ciittadini per fare fronte alle esigenze della finanza.
Si potrebbe pure, magari, aspettare ad investire 73 milioni per ristrutturare la sede Nato di Bruxelles.
Ma oltre la beffa, l'inganno.
Quale?
Tutto parte dall’aggiornamento del manuale di contabilità nazionale (sistema europeo dei conti SEC95) che entrerà in vigore nei paesi dell’Unione Europea dal 2014.
Le nuove direttive statistiche internazionali, con l’aggiornamento dei manuali a cui si attengono i sistemi nazionali di statistica in tutto il mondo, porteranno dal 2014 una sorpresa, cambiando i metodi di contabilizzazione delle spese militari.
Cacciabombardieri, corazzate, bombe, munizioni e tutte le armi distruttive vengono spostate nella contabilità del Pil, da un capitolo all’altro e nel passaggio, acquistano valore.
Così sale il Pil dei paesi più armati.
A essere “premiati”, con un salto in avanti del prodotto interno lordo, saranno soprattutto i paesi con maggior produzione di armamenti di tipo puramente offensivo.
Con i nuovi metodi di calcolo, tutti gli acquisti di sistemi d’arma e dei relativi sistemi di supporto, purché utilizzati per un periodo superiore a un anno, saranno contabilizzati come investimenti in beni durevoli: anche le munizioni, le bombe e i pezzi di ricambio vengono spostati dai consumi intermedi per essere collocate fra le scorte.
Lo spostamento da un capitolo all’altro non è di poco conto.
Appare evidente la sua implicazione simbolica e politica: i sistemi d’arma sono capitale fisso, che a tutti gli effetti contribuisce alla ricchezza e al benessere di un paese.
Il che ha una immediata traduzione concreta: chi spende di più in armi, aumenterà la propria ricchezza come aumenterà il volume di prodotto interno lordo.
La revisione statistica migliorerà come d’incanto i conti di molti paesi.
Per l’Italia, si tratterebbe di un aumento “contabile” del Pil di 800 milioni di euro.
Il tutto con l’aggiunta di una clausola di riservatezza dei dati: quelli militari saranno divulgati solo come valori aggregati – con scarso o nullo beneficio, dunque, per la comunità scientifica.
E' più che probabile che, tra poco più di un anno, assisteremo al doppio decollo dei chiacchierati cacciabombardieri F35 assieme a quello di un Pil inflazionato dalla spesa militare.
Nel frattempo, il Governo stanzia 223 milioni di euro per le scuole private, 690 milioni fino al 2015 per la TAV tra Torino e Lione, 420 milioni alla Sicilia in deroga al patto di stabilità, 159 milioni per ripianare il debito della sanità in Campania, disponendo di avanzi di cassa pari a 560 milioni del tesoretto di Montecitorio.