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Editoriale

Nazionalizzare è l'unica strada e non è neanche tanto rivoluzionario

Roma,

"COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA - TITOLO III - RAPPORTI ECONOMICI - Art. 43.
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fontidi energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale."


Da anni affermiamo che l'intervento diretto dello Stato nell'Economia, il controllo e la nazionalizzazione di aziende che si ritengono strategiche per il paese o che sono fortemente in crisi e mettono in discussione migliaia di posti di lavoro, è l'unica soluzione ad una crisi che ormai sta distruggendo non soltanto le tasche e la salute dei cittadini, lavoratori, pensionati e disoccupati, ma l'intero sistema economico italiano.

Questa è la risposta strutturale alle tante crisi che si susseguono da anni: dall'acciaio di Taranto a quello di Terni, dalle ali dell'Alitalia a quelle di Meridiana, tanto per fare qualche esempio!


Sino a pochi anni fa ci prendevano per matti, folli rivoluzionari che non avevano compreso quanto fosse bello il mercato e il privato, che non c'era bisogno di regole perché la globalizzazione avrebbe messo in condizione il mercato di autoregolarsi. Poi piano piano la crisi ha fatto cambiare idea a molti ed oggi sentiamo parlare di nuova IRI, di nazionalizzazioni a tempo, di intervento dello Stato.

Certo tutto è sempre finalizzato al mercato, a quell'entità che si vorrebbe far passare come ideologica e immateriale, ma dietro alla quale si cela invece il profitto di pochi, le borse che salgono mentre la gente non riesce a curarsi. I più, infatti, vorrebbero un intervento dello Stato a tempo, tanto per risanare i debiti dei privati, farli ricadere sulla collettività e poi, tra qualche anno, ridare ai soliti noti aziende in buona salute e senza debiti.

Questa è la posizione della parte più “avanzata” della Cgil ed anche della Fiom che poco tempo fa, nella vertenza ILVA, parlava di acquisizione dello Stato a tempo determinato.


E' lo stesso meccanismo che ha salvato migliaia di banche ed i loro azionisti in tutto il mondo, riempiendo i loro caveau di dollari e euro abbondantemente elargiti da stati e strutture sovrannazionali come la BCE e il FMI. Tutto ciò sempre a danno dei cittadini che pagano profumatamente per rimettere in piedi banche che poi invece di impegnare questi regali inaspettati per finanziare progetti produttivi che creano ricchezza e lavoro, investono in “buoni del tesoro” emessi dagli stessi Stati che li hanno sovvenzionati e ne ricavano ulteriori profitti.


Noi invece pensiamo che la nazionalizzazione non debba essere uno strumento economico temporaneo, ma l'inizio di una trasformazione dello stato in termini sociali.

Nulla di rivoluzionario se lo prevede anche la nostra Costituzione, ma sicuramente un qualche cosa che fa funzionare le aziende per creare ricchezza e per costruire lavoro, tutelando al tempo stesso la salute e l'ambiente.

Perché il lavoro non si crea riducendo i diritti e aumentando precarietà e età pensionabile come qualcuno vorrebbe farci credere, ma con progetti produttivi seri e concreti.

Non è eticamente, sindacalmente, socialmente e politicamente accettabile che aziende come la Fiat che sono vissute e hanno intascato profitti immensi con i soldi dello Stato sotto forma di ammortizzatori sociali, incentivi e sovvenzioni varie, possano di punto in bianco abbandonare il Paese e costruire un impero multinazionale, continuando a sottrarre lavoro in Italia.


Questo è il frutto di politiche asservite ai grandi gruppi industriali e finanziari nazionali ed internazionali, ammantate di una ideologia da quattro soldi e che tradotta vuol dire maggiore sfruttamento e una forbice sempre più ampia ed incolmabile tra ricchi e poveri.


Ma è anche il frutto del ruolo che Cgil, Cisl e Uil hanno assunto in questi decenni: non saranno certo le smanie di Landini e i capricci della Camusso a far cambiare la Cgil.

Ma la farsa continua e tanti, purtroppo, continuano a credere che quella sia la strada!


Ma tanti altri stanno invece abbandonando questi sindacati e chiedono una reale alternativa: dimostreremo a loro ed a tutti che la vera alternativa parte proprio da USB.