Durante questi torridi giorni estivi il tema abitativo è apparso a più riprese sui media italiani. Soprattutto sulla carta stampata sono stati pubblicati numerosi articoli sul caro affitti, sulla contrazione del’offerta del mercato rispetto alla primaria domanda abitativa espressa dalle famiglie (a vantaggio degli affitti di breve durata rivolti per lo più a turisti), all’ulteriore aumento dei prezzi dei posti letto per studenti etc…
Nel frattempo l’Istat ha pubblicato nuovi dati sul patrimonio immobiliare italiano, evidenziato come una casa su tre in Italia sia vuota. A fare da contorno mini condoni, norme che rendono abitabili anche le grotte e la solita propaganda sulle occupazioni. Quasi in sordina (ma non per noi), un trafiletto del Sole 24 Ore riporta l’operazione da 100 milioni di Cassa Depositi e Prestiti (garantiti al 50% dall’UE) per costituire il “primo fondo di fondi” il FNA (fondo nazionale dell’abitare). Questo si affiancherà al FIA e al FNAS (non è uno scherzo) e dovrà operare nel settore del “Social Housing”, formula che di per sé non vuol dire nulla, attraendo investimenti pubblici e privati per creare “soluzioni abitative sostenibili”.
A fronte dei dati oggettivi pubblicati, la questione Casa si erge in modo incontrovertibile come uno dei problemi principali da mettere in agenda per chi governa il paese o i suoi territori. Non potevano mancare in seguito a tante pubblicazioni interventi di eminenti personaggi politici del passato e del presente, come l’ex Premier Romano Prodi e l’attuale Assessore al Patrimonio ed alle Politiche Abitative di Roma Capitale, Tobia Zevi. Gli interventi sono senza dubbio interessanti. Ad esempio Romano Prodi mette nero su bianco la scarsa o quasi nulla produttività di uno dei settori maggiori del paese, quello immobiliare. E non potrebbe essere altrimenti essendo un settore che vive essenzialmente di rendita e rifiuta qualsiasi input di natura sociale, comunitaria o solidale. Anche molti passaggi di quanto scritto dall’Assessore Zevi sono abbastanza condivisibili: aumento del patrimonio pubblico, rigenerazione e riutilizzo in chiave sociale dello sfitto. riqualificazione del patrimonio esistente etc… perdoniamo all’Assessore qualche strafalcione, come la supposta lentezza delle esecuzioni come causa della sfiducia dei proprietari. Gli sfratti infatti non sono mai stati così rapidi come adesso, visto che la forza pubblica è garantita già dal terzo accesso. È la voglia di realizzare maggior profitto che spinge i proprietari a rifiutare alcune categorie di conduttori.
Comunque, nonostante le premesse e complici i titoli un po’ fuorvianti, chi legge in buona fede i due articoli rischia di cadere in un vecchio tranello. Ci riferiamo a quei passaggi in cui si invocano partnership fra pubblico e privato per uscire dall’emergenza. Questi ragionamenti sono pericolosi assist, utili a quei fondi speculativi che sono già pronti ad inserirsi in ogni spiraglio pur di portare a casa concessioni, cubature, cessioni, permessi etc… Allo stesso modo, indirizzare risorse ingenti in forme di edilizia “mista”, cioè non pienamente pubblica, vuol dire abdicare per l’ennesima volta al ruolo di poter governare i processi dalla progettazione alla realizzazione fino all’utilizzo degli stock, senza nulla concedere alla controparte, anzi sottraendo loro ogni possibilità di speculazione. Per chiarire meglio questa nostra posizione, dobbiamo spiegare chi sia la controparte. È la stessa che ha determinato la situazione attuale, condizionando le decisioni a tutti i livelli, dai piani nazionali agli strumenti urbanistici delle città. Non bisogna mai dimenticare che il livello di affitti altissimo, figlio della legge numero 431 del 1998, combinato alla carenza di edilizia pubblica (magari fosse al 4%, ormai è miseramente vicina al 2%!) ha spinto milioni di famiglie ad acquistare la propria casa accendendo un mutuo, contribuendo ancor più alla finanziarizzazione del settore fino al livello minimo. A ciò si sono affiancate negli anni politiche fiscali che hanno favorito ulteriore speculazione e diseguaglianza (ad oggi la rendita è meno tassata del lavoro!). Paradossalmente, nonostante l’alta percentuale di proprietari, il nostro paese si ritrova in uno stato di soffocante subordinazione ai desiderata del Mattone. Perfino il welfare abitativo, azzerato dal Governo Meloni, è stato pensato non per aiutare gli affittuari ma per ristorare i proprietari, legittimando di fatto le loro assurde richieste. Questo sistema, che ha sottratto ricchezza e territori a tutti noi, non è riformabile ed esprime parti sociali (Asociali in realtà) capaci di chiedere l’esecuzione degli sfratti in pieno Covid o l’utilizzo di vigilanza privata per buttare fuori di casa chi non riesce a pagare un canone che follemente quasi raggiunge il salario. È il sistema culturale della proprietà privata che ha prodotto e continua a produrre Decreti Sicurezza sempre più reazionari verso chi è in difficoltà, mentre nulla fa per chi ha una sola casa in cui abita e se la vede pignorata se incolpevolmente salta qualche rata del mutuo. Per questo non dovremmo mai usare il termine Housing Sociale ma la corretta locuzione Edilizia Pubblica Sovvenzionata (case popolari), la quale per legge è a totale carico delle casse pubbliche. Si potrebbe iniziare a pensare a come finanziare gli interventi (magari da una tassazione adeguata delle locazioni o dell’enorme patrimonio detenuto dalle grandi proprietà e non utilizzato), o a dove prendere le risorse necessarie (forse dalle grandi opere discutibili o dalle spese militari), o ancora a quanta quota del Pil destinare a tale tema, per risolvere un problema ormai decennale. Sarebbe inoltre ora di discutere di un controllo pubblico degli affitti, argomento di cui si discute in altri paesi, di limiti all’uso di forme contrattuali atipiche, di persecuzione dell’affitto in nero, visto che oggi proprietari e conduttori vengono multati più o meno allo stesso modo, come se entrambi disponessero dello stesso potere decisionale!
Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di intervenire nel dibattito in corso, poiché ci sembra pericoloso accostare a degli intenti quasi del tutto condivisibili, delle proposte di partnership impossibili da praticare, almeno se si vuole uscire dal vecchio schema di subordinazione agli interessi dei giganti del settore. Questi signori sono bravissimi a mimetizzarsi, ma sono sempre gli stessi e perseguono gli stessi medesimi interessi: i propri. Altrimenti non saremmo a questo punto.
Abbiamo descritto minuziosamente i processi speculativi determinati dalla rendita nel nostro paese con la pubblicazione del libro "Prigionieri del Mattone" che abbiamo mandato in stampa l'anno scorso.
Asia-Usb