Dopo 20 anni di tagli sistematici al Servizio Sanitario Nazionale, pubblico ed universale, di sanità si muore. Non solo durante un particolare periodo dell’anno e non solo al sud, anche se al sud molto di più. Si muore tutti i giorni: di liste d’attesa; dell’impossibilità di far fronte ai ticket; di mancanza di posti letto; di assenza di strutture territoriali e prevenzione; di vetustà degli impianti e della tecnologia; di carenza di personale e blocco del turn over; di privatizzazioni, corruzione, appalti ed esternalizzazioni.
Si muore in nome del profitto e del pareggio di bilancio. Si muore su richiesta dell’Unione Europea, delle banche e delle assicurazioni per le quali la nostra Costituzione garantisce ancora troppi diritti.
Lo sanno bene i governi nazionali che di queste politiche sono sempre stati succubi esecutori e che sui tagli alla sanità pubblica – ma più in generale sulla distruzione dello stato sociale - hanno fondato intere finanziarie lacrime e sangue; quelli della riforma costituzionale federalista capace di polverizzare in 20 sistemi regionali un servizio che avrebbe dovuto garantire equità ed uniformità di cure su tutto il territorio nazionale; quelli dei piani di rientro miliardari e dei commissariamenti regionali ed aziendali con uno scostamento del 5% di bilancio.
Lo sa bene la politica locale che con i 60 miliardi di euro annui – frutto della corruzione in sanità (il 10% dell’intero dato nazionale) garantisce equilibri criminali e criminogeni e il riperpetuarsi di poteri locali.
A pagarne le spese i ceti popolari e i lavoratori e le lavoratrici della sanità pubblica. I primi sempre più impoveriti, individualizzati e rancorizzati da una politica che fomenta la guerra tra poveri e la utilizza scientemente per coprire le proprie responsabilità e incapacità; i secondi sempre più in trincea a cercar di far fronte – sulla propria pelle, con l’intensificazione dei ritmi e dei carichi di lavoro - al bisogno di cure diventando, puntualmente, capro espiatorio dello “scandalo” di turno.
Il ministro della salute più insulso della storia invia i NAS all’ospedale di Nola per prendere atto, evidentemente, delle numerose richieste e denunce che avrebbero dovuto riguardarla e sono invece rimaste inascoltate, mentre il governatore campano invoca il licenziamento dei tre dirigenti medici, dopo averne ottenuto la sospensione, senza mai mettere in discussione il direttore generale da lui stesso nominato.
Già, proprio quel De Luca della frittura di pesce in cambio di un sì; quello che ha come consigliere un indagato per tentata concussione ai danni di ASL e Ospedali della Campania; colui che, grazie ad una norma ad hoc concessagli da Renzi, potrebbe diventare commissario della sanità campana. Controllore e controllato.
Siamo certi che quanto successo a Nola – ma prima ancora negli ospedali di Roma o in quelli greci o portoghesi e più in generale di tutti quei Paesi massacrati dalle politiche di austerità e dalla Troika – si ripeterà ancora.
Ma bisogna riflettere bene prima di demonizzare il personale sanitario e saper discernere con attenzione sulle responsabilità perché, in assenza di una forte presa di parola a difesa del servizio sanitario pubblico, l’unico vero argine rimasto alla barbarie sono proprio quei medici e quegli infermieri che hanno ancora il coraggio o l’incoscienza di sbatterti per terra pur di provare a garantirti un diritto fondamentale.
Noi per questo li ringraziamo e continueremo a lottare per cambiare le condizioni presenti e garantire diritti e dignità agli Operatori sanitari e ai cittadini.
Aderente
alla FSM