In Italia ogni mese 100 lavoratori e lavoratrici non tornano a casa dal lavoro, morti a causa del lavoro.
Sovente i mezzi di comunicazione sociali fanno ricorso a eufemismi (morti bianche, infortuni, incidenti e così via) per non dire che sono vittime di omicidio.
Le contorsioni linguistiche sono utili per non ragionare sulle cause di questi omicidi: si deve far presto, la produzione incalza, la sicurezza costa, la concorrenza incombe… Il profitto val bene un morto.
E poi, la sicurezza totale non esiste…
Vale la pena riportare un breve resoconto della sentenza sull’omicidio della giovane donna Luana D’Orazio. Luana, 22 anni d’età e un bambino di 5 anni, finì ammazzata, stritolata da un macchinario dal quale erano stati tolti i dispositivi di sicurezza (Fonte: “Il Fatto Quotidiano” del 27 ottobre 2022):
“… l’orditoio per la campionatura al quale lavorava Luana D’Orazio aveva i dispositivi di sicurezza disattivati. L’incidente sarebbe avvenuto mentre il macchinario viaggiava ad alta velocità, una fase in cui le saracinesche di protezione dovrebbero rimanere abbassate. Ma non solo. Lo stesso macchinario era utilizzato in maniera non conforme. La 22enne, infatti, secondo la perizia, rimase agganciata a una sbarra che sporgeva più del dovuto rispetto a quanto stabilito dal costruttore. Trascinata dentro al motore, tirata per la maglia, il corpo di D’Orazio girò per due volte “in un abbraccio mortale”, come scrisse l’ing. Gini (consulente tecnico della Procura di Prato n.d.r) nella perizia. Dopo 7 secondi il compagno di lavoro intervenne spegnendo il macchinario. La giovane donna a quel punto era già morta a causa dello “schiacciamento del torace”. Il blocco del cancello di sicurezza dell’orditoio di D’Orazio, mamma di un bambino di 5 anni, avrebbe fruttato l’8% di produzione in più rispetto a un macchinario con il dispositivo di sicurezza integro…”
Il processo si è concluso con il patteggiamento dei titolari della ditta in cui lavorava Luana D’Orazio. La giudice per l’udienza preliminare ha accolto il patteggiamento su cui avevano concordato pubblica accusa e legali di due dei tre imputati per il decesso della 22enne, accusati di omicidio colposo e rimozione di cautele antinfortunistiche.
La sentenza prevede 2 anni di reclusione per Luana Coppini, titolare della ditta in cui è avvenuto l’incidente mortale, e un anno e sei mesi per il marito Daniele Faggi, titolare di fatto. Entrambe le pene prevedono la sospensione condizionale.
Il sindacato USB, grazie al gruppo di giuristi militanti con i quali collabora, ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare ai sensi dell’art. 71, secondo comma, della Costituzione, allo scopo d’introdurre nel nostro ordinamento il reato di omicidio sul lavoro e lesioni gravi o gravissime alle lavoratrici e ai lavoratori (vedi in allegato il testo integrale della proposta di legge).
Ora dobbiamo raggiungere e superare le 50.000 firme di adesione da parte di cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici, necessarie per poter esercitare in concreto l’iniziativa legislativa da parte del popolo.
Per questo il sindacato USB vi invita a firmare e a far firmare la proposta di legge direttamente attraverso questo sindacato, ovvero nelle piazze in cui siamo e saremo presenti per la raccolte delle firme oppure attraverso la piattaforma che segue (nella quale potrai leggere e scaricare il materiale informativo sull'argomento):
https://leggeomicidiosullavoro.it/
Nel link che segue, un breve intervento della madre della giovane Luana D’Orazio:
USB – Unione Sindacale di Base Pubblico Impiego
Università degli studi di Trieste
Referente di ateneo: sig. Ferdinando ZEBOCHIN