Rom, Zingari, nomadi, extracomunitari: eccola la sola vera emergenza che sembra investirci da ogni telegiornale e dalle prime pagine dei giornali. Eppure per qualcuno, come per me, i rom non sono un’emergenza, sono piuttosto, e da alcuni decenni, una presenza e una scelta costante nella vita Agire a favore, o anche soltanto parlare di ZINGARI ha da sempre innescato reazioni forti: può spegnere sul nascere una probabile amicizia o rendere troppo accesa una rutinaria conversazione durante una cena di lavoro, ma può anche avvicinare persone che a prima vista poco hanno in comune e rendere addirittura indissolubili amicizie e sodalizi. Ma allora cosa è cambiato, perché scrivere e parlare con più costanza e incisività diventa importante? Cosa rende questo momento così particolare? Nella mente si affollano i libri e gli articoli letti, le trasmissioni viste, le riflessioni compiute da soli o in compagnia di amici e compagni di viaggio: la Modernità, Zygmund Baumann, la globalizzazione, “i Barbari” di Barrico, Gad Lerner. Persino “Chi l’ha visto”.
Se essere esperti vuole dire conoscere la problematica internazionale, la storia remota o recente dei vari gruppi e avere ben chiara la loro collocazione nel mondo e il cammino verso il futuro, pochi rientrano in questa definizione: per noi in vent’anni si è stabilito con un gruppo di ROM Korakanè Iugoslavi un rapporto fatto di amicizia, di rispetto e di condivisione. Quindi il primo impulso è dire: ma questi sono diversi, sono bravi. Bravi Zingari? Bravi Ebrei – ma i soli bravi ebrei sono quelli morti. Il fumo di Auschwitz era fatto di ebrei e zingari e nessuno ha chiesto loro se erano bravi o cattivi, erano ebrei e zingari.
Una prima riflessione va fatta proprio su questo versante: l’integrazione così fortemente chiesta da tutti, in cosa consiste? E’ davvero quanto tutti vogliono ed è davvero necessaria e sufficiente? Ricordiamoci che gli Ebrei erano perfettamente integrati nella società tedesca pre- Hitler. Ma comunque un cammino verso l’integrazione si sta compiendo e allora poniamoci alcune domande: In questi vent’anni i rom sono cambiati? Sì. In meglio? Sono cambiati! Sono più attenti alla legalità, i loro bambini vanno tutti a scuola e conseguono almeno la terza media, sono vaccinati, vanno regolarmente dal medico, sanno districarsi nei meandri della nostra burocrazia. Certo, la globalizzazione ha colpito anche loro. Anche i loro bambini passano ore davanti a televisioni e computer, anche i loro ragazzi hanno i cellulari e i vestiti firmati e le crestine in testa. La loro vita non è tutta rose e fiori, qualcuno sta meglio qualcuno sta peggio, ma non hanno in genere, il problema di cosa mangiare il giorno dopo.
Il problema rimane allora come collocare i Rom nel nostro vissuto e nell’immaginario di cittadini dei paesi dell’occidente avanzato. Qualche giorno fa, sulla prima pagina della Repubblica, Adriano Prosperi in un articolo intitolato “pogrom moderno” segue esattamente il filo dei pensieri che nella mente portano a istituire un parallelismo tra Rom di oggi e gli Ebrei di ieri. E denuncia la mancata funzione di coscienza critica dei giornalisti, soprattutto di quelli della TV.
Baumann parla di modernità liquida, di un mondo in cui nessuno cerca più di cambiare le regole del gioco: cercano soltanto di assicurarsi un posto al tavolo di gioco. La classe operaia non esiste più e quegli operai, che facevano dell’internazionalismo una bandiera, ora votano lega per difendere i loro piccolo orticello. Reiner Kunze, poeta tedesco contemporaneo, in una poesia intitolata” il muro” così scrive:
Nella sua ombra nessuno
proiettava un’ombra
Adesso noi siamo spogli
di ogni possibile scusa.
Già, l’ideologia, il Muro. rendeva tutto più semplice: nero/bianco, giusto/ingiusto., di sinistra/di destra,
Le ronde di destra - l’integrazione di sinistra,
i pogrom di destra - la resistenza di sinistra.
Ora il muro non ci difende più, e nel nostro parlamentino interiore quello con il cappuccio bianco del Ku Klux Klan, sempre zittito in fretta e con vergogna, ha alzato la cresta e sbraita senza ritegno. La caduta del Muro doveva essere un’opportunità per far parlare, nel nostro parlamentino interiore e con ciò in quello reale, nel mondo, le vere istanze democratiche senza fideismi, ma con certa coscienza critica: opportunità sprecata. Certo si sa, lo si ripete da sempre, con più o meno dotti ragionamenti che il nemico esterno crea coesione interna e più ancora che le minoranze deboli costituiscono il capro espiatorio ideale in ogni momento di incertezza e di malessere sociale. Nessuno può negare che gli Zingari (il termine Rom crea alibi e confusione con i Rumeni che non sono certo tutti Zingari) siano il “nemico” ideale.
È da quando siamo piccoli che usano lo spauracchio della Zingara che ruba i bambini, al pari del lupo cattivo per non farci uscire dal cortiletto, è da quando incominciamo a vedere la televisione che ogni incidente provocato da un Rom occupa la prima pagina per più giorni, è da quando sappiamo ascoltare che qualche amica di mamma racconta di quella zingara che… Inoltre, dopo un secolo di gravissimi traumi che ha colpito questo popolo come nessun altro (a tale proposito e interessantissimo il saggio “I mangia cane di Svinia” di Gauss – ed. L’ancora del mediterraneo, e anche la recensione che è apparsa sulla Repubblica a firma Paolo Rumiz), gli Zingari sono davvero in una condizione in cui vivere in maniera dignitosa senza delinquere ha bisogno di sostegno.
Gli esempi ci sono e possono essere belli, incoraggianti, creano benessere, condivisione, dignità. Uomini che si riappropriano dei loro mestieri tradizionali di lavoratori dei metalli per mettere le loro capacità al servizio della modernissima necessità del riciclo differenziato, donne che propongono i loro coloratissimi e allegri abiti della festa, bambini inseriti in gruppi scout in cui la loro capacità fattiva viene riconosciuta come valore, tanto da renderli capi squadriglia ideali. Qualcuno stenta a crederlo, ma si tratta di esperienze concrete, che funzionano nel mondo reale di tutti i giorni dal Nord al Sud della penisola.
Questi pensieri in libertà, gettati giù senza censura, stanno piano piano configurando un loro quadro. I rom sono a casa “nostra”, ma per loro ogni parte del mondo è, da sempre, casa loro, in cui vivere, più o meno stanzialmente. Si può cacciarli via; ma verso dove, giacché i loro insediamenti tradizionali sono stati distrutti già prima della caduta del famoso Muro e gli infami ghetti urbani dei paesi di origine sono molto peggio delle nostre periferie più degradate? Sarebbe una follia o, peggio, demagogia deteriore. Quindi accoglienza? Senza se e senza ma? I se e i ma sono l’essenza del pensiero critico e realmente costruttivo.
I se e i ma, quindi, dobbiamo esprimerli, come dobbiamo cercare con forza il dialogo. Il dialogo con i Rom, con le amministrazioni, con i cittadini infastiditi da una presenza troppo ingombrante, tra le varie parti, in un intreccio continuo, polifonico, intricato e indissolubile. Tutti i convenuti debbono però godere di pari dignità: diritti e doveri. Niente falsa coscienza o sconti impropri. I diritti non sono concessioni, i doveri non sono negoziabili. L’educazione alla legalità per cittadini e ospiti passa per questi semplici parametri. A scuola, per strada, in un campo Rom.
Patrizia Sanna - www.manifestosardo.org