Il boom economico non passa più per il mattone. Limiti dimensionali, esclusioni e scarsa convenienza tra le principali ragioni dell'insuccesso
Doveva essere la soluzione alla crisi. Il rilancio dell'economia italiana doveva passare dall'edilizia. Come negli anni '50. E invece il piano casa - che prevedeva una drastica riduzione della burocrazia necessaria per avviare ristrutturazioni edilizie e la possibilità di aumentare del 35% la volumetria della propria abitazione - non ha ottenuto il successo sperato.
A più di un anno dal suo lancio sono solo 2.700 le domande presentate, con una media di 42 richieste per comune. E se si escludono Veneto e Sardegna, le due regioni in cui il piano casa ha ottenuto le maggiori adesioni, la media nel resto d'Italia scende a 20 domande per comune.
Come sempre c'è chi si rammarica per l'occasione persa (il governo - ideatore del piano - e tutto il settore dell'edilizia) e chi tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di una colata di cemento selvaggia sulla penisola. Ma al di là delle opinioni, che cosa non ha funzionato?
Le ragioni del flop
Sicuramente un peso determinante l'ha avuto la recessione, proprio quella che il piano casa voleva sconfiggere. Scarsa liquidità e difficile accesso ai mutui hanno hanno penalizzato questo tipo di investimenti, spesso impegnativi per le famiglie.
Ma in molti se la prendono con le leggi regionali che dovevano attuare il piano. Alcune regioni le hanno varate con molto ritardo. E molte hanno posto vincoli ritenuti troppo restrittivi dai fautori del piano.
Ad esempio:
• limiti dimensionali: quasi tutte le leggi regionali consentono interventi di ampliamento sugli edifici fino a 1.000 metri cubi, escludendo quindi la possibilità di effettuare lavori su unità immobiliari di dimensioni maggiori;
• esclusioni: le disposizioni non si applicano a soppalchi o chiusure di verande, perché si tratta di interventi che aumentano la superficie abitabile senza ampliare la volumetria degli edifici. Pertanto, paradossalmente, non possono beneficiare delle semplificazioni urbanistiche;
• scarsa convenienza della sostituzione edilizia, ovvero la demolizione e ricostruzione di un edificio. L'aumento di valore dell'immobile derivante dall'ampliamento volumetrico non viene considerato sufficiente (spesso erroneamente) a compensare i maggiori costi per l’adeguamento alla normativa antisismica o la riqualificazione energetica;
• esclusione degli edifici non residenziali: una bella fetta di immobili rimane fuori dal piano casa. Nel settore molti dicono che avrebbe contribuito all'aumento della produttività industriale, considerando anche che le zone industriali non hanno i vincoli delle aree urbanizzate, quali il rispetto delle altezze massime e delle distanze minime;
• abusi non sanati: nonostante i ripetuti condoni edilizi degli ultimi decenni, esistono ancora molti immobili (o specifici interventi) abusivi che in quanto tali non possono usufruire dell'agevolazione.
Difficile che la situazione cambi in questi ultimi mesi dell'anno, considerando che in diverse regioni si avvicina la scadenza del 31 dicembre 2010 per la presentazione delle domande. Geometri e palazzinari dovranno attendere un'altra occasione.