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DOCUMENTI EDILIZIA PUBBLICA

Quando SCuP incontra FIP : Chiamale se vuoi dismissioni

Roma,

Scritto da Antonello Sotgia e Rossella Marchini http://www.dinamopress.it/inchieste/quando-scup-incontra-fip-chiamale-se-vuoi-dismissioni

 

Un'inchiesta su come è stato svenduto l'edificio di via Nola 5.

Nella pianta un esempio “romano” dell’urbanistica delle dismissioni. In un’area centrale monumentale ( complesso della Basilica di S.Giovanni, Santa Croce, mura intersezione con acquedotto Felice ) di 25 ettari servita dalla linea metropolitana, tre funzioni “ privilegiate “ vengono sostituite da scelte lasciate alle proposte del mercato. 39.514 metri quadri di superficie complessiva per tre edifici. SCuP (2.507) , INPDAP (16.643), INPS ( 20.364) preparate con le procedure sopradescritte e pronte per chi prima arriva !!!. Prove tecniche di urbanistica finanziaria.

La valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico è la modalità politica scelta per contenere il debito pubblico. Centrale è il ruolo dell’Agenzia del Demanio a cui, con la legge n° 214/2011 “disposizioni urgenti per la crescita, l'equità' e il consolidamento dei conti pubblici”, è stato esteso il compito specifico della valorizzazione degli immobili pubblici di proprietà degli Enti territoriali (Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni) oltre quello, ormai consolidato, di occuparsi del portafoglio immobiliare di proprietà esclusiva dello Stato Italiano, di INPS, INAIL, INPDAP ed altri Enti.

Cosa è l’Agenzia del Demanio?

L’Agenzia del Demanio (AD) è dunque l’ ente pubblico economico a cui lo Stato ha affidato il compito, al fine di valorizzarli, di: amministrare i propri beni immobili (terreni e fabbricati) e di gestirli economicamente. Essere ente pubblico economico vuol dire essere un ente “operativo, dotato, di conseguenza, di personalità giuridica, personale dipendente e patrimonio”. Il personale di A.D. è intorno alle mille unità. Il patrimonio è “costituito da un fondo di dotazione e da mobili ed immobili strumentali alla sua attività”.

A.D. è, a tutti gli effetti, un’impresa di carattere commerciale. Nata con il Governo D’Alema (1999), nel 2003 prende lo status di ente pubblico economico che, attraverso la stipula di un “contratto di servizio”, regola i propri rapporti con il Ministero dell’Economia e delle Finanza (MEF). Il contenuto dei contratti “risponde a logiche aziendalistiche”. A.D. rende al MEF dei servizi e viene remunerata in relazione agli obiettivi raggiunti per i seguenti compiti: ridurre le spese (ottimizzare gli spazi necessari al funzionamento delle pubbliche amministrazioni) e contenere, così, il costo della locazione in immobili di proprietà privata; pensare, in modo coordinato, alla manutenzione dei propri beni.

Si scrive: gestione immobiliare, si legge: fare cassa.

Come opera?

Due le “opzioni” possibili per accrescere il valore commerciale del bene pubblico: dismetterlo e privarsene, quando si pensa che possa non servire più ai propri compiti; partecipare a progetti di valorizzazione “individuando nuove destinazioni urbanistiche per gli immobili”, quando si pensa che, una volta acquisito un “ titolo edilizio” (una destinazione d’uso) maggiormente pesante, se ne potrà ricavare di più. In tutti e due casi A.D. incarna un doppio ruolo. Quello di chi offre al mercato un bene e quello di poter decidere, lui stesso, il vestito più ricco da appiccicargli addosso per farlo partecipare al gran ballo del mattone messo in scena dalla finanza immobiliare. Resta, ora, da scegliere il cavaliere. Che, certo, non manca. Visto che c’è da pescare in un repertorio nato con oltre 160mila unità (tanti gli immobili che fin dall’origine hanno costituito il “ tesoretto” immobiliare in dotazione ad A.D.), gli aspiranti a voler scrivere il proprio nome sul carnet di ballo sono stati molti e, molti ancora, sono intenzionati a continuare.

Come si balla al gran ballo del mattone?

La musica la sceglie il MEF e la trasmette attraverso A.D. e le Società di Gestione del Risparmio (SGR). Queste istituiscono i singoli fondi per l’investimento immobiliare che, dal 2011, possono anche essere, come detto, promossi da società partecipate da Enti territoriali pubblici (federalismo demaniale).

Il MEF, dunque, costituisce i Fondi Comuni d’Investimento immobiliare a cui conferisce, attraverso A.D., beni immobili non residenziali statali (ora anche di enti territoriali pubblici). Questi immobili, individuati e classificati da A.D., costituiscono così la dote del Fondo. (passo 1)

Il MEF seleziona poi banche o istituti finanziari che, quali investitori del Fondo, individuano la SGR chiamata a gestirlo. Gli investitori provvedono all’acquisizione del Compendio Immobiliare ricevuto(costituito da uno o più immobili) (passo 2)

SGR istituisce uno specifico fondo immobiliare di tipo chiuso definendo: il tetto monetario da sottoscrivere, la sua suddivisione in quote e le scadenze temporali per accedere al loro rimborso. Il valore dei beni immobiliari viene spacchettato in tante quote, da offrire a singoli investitori, la cui raccolta è demandata alla SGR.(passo 3)

Le quote andranno sottoscritte da chi vorrà investire nel fondo. Chi investe non acquisisce diritti proprietari sugli immobili del Fondo; le quote infatti non sono azioni.

L’afflusso di denaro liquido continua fino al raggiungimento della copertura di tutte le quote. In questo modo si vengono a coprire le spese sostenute dagli investitori per il conferimento del Compendio Immobiliare e a creare flussi di liquidità per il mercato economico.

Una volta raccolto il denaro prefissato attraverso il collocamento delle quote, si può procedere alla sua vendita e/o - e qui entra ancora in gioco L’Agenzia del Demanio- affittare parte del patrimonio ricevuto attraverso un contratto di locazione passiva proprio alla stessa A.D. che permetterà (pagando un canone) per un periodo di tempo prefissato a chi, quel bene usava, di poterlo utilizzare ancora. (passo 4)

Facciamo prima un esempio

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, trasferisce beni ad un Fondo attraverso l’Agenzia del Demanio, il quale ne affida la gestione ad una SGR. Gli Enti pubblici possono attraverso questa procedura conferire un proprio bene da valorizzare al Fondo: per esempio una struttura per uffici.

Il valore economico di questo immobile è valutato da un esperto nominato sempre dalla SGR. e secondo quanto stimato dal’esperto l’Ente riceverà denaro fresco dal Fondo direttamente all’atto dell’alienazione. Denaro che, potrà variare, se il Fondo, invece della disponibilità totale, acquisisce solo l’usufrutto per la gestione degli immobili per un periodo di tempo (50 anni).

In questo caso la corresponsione del denaro da parte del Fondo è più contenuta in quanto dalla cifra si deve scomputare il costo per la ristrutturazione del bene e il dover provvedere per un lasso di tempo (50 anni) alla sua manutenzione e gestione.

Con la riscossione dei canoni d’affitto si coprono le spese di manutenzione e gli interessi maturati dagli investitori.

Se il bene viene acquisito dal Fondo per essere messo sul mercato, anche in questo caso, se le Amministrazioni decidono, poi, di continuare ad avere nelle proprie possibilità di esercizio l’immobile, dopo la sua vendita possono richiedere la formula del contratto di locazione passiva e per un periodo di tempo prefissato tra le parti (acquirente e venditore) le stanze restano come prima.

Come una stanza diventa denaro?

Prima si “marcano” gli immobili che si pensa possano produrre soldi poi, segnalati all’ A.D., questa inizia l’operazione di alienazione. Quando un Ente conferisce un bene a un Fondo deve fornire un progetto d’utilizzo o di valorizzazione. Gli immobili devono essere in regola dal punto di vista dei vincoli edilizi ed urbanistici. Conferire gli immobili ad un Fondo porta le Amministrazioni a ricevere, subito ossigeno monetario. Stanze che diventano subito cash . Denaro immediato per lo Stato e flussi costanti al Fondo derivati dalla collocazione delle quote grazie al suo lavoro di trasformare l’edificio - quello che sta li con mura, scale, finestre, cemento, ferro, vetro, stanze, soppalchi, vuoti, pieni, persone…- da individuo edilizio, fatto di materiali e spazi, in quote di attività finanziaria. Ed ecco, così, pronti i soldi e un secondo luogo attraverso cui il mercato dell’economia costruisce e trova la propria liquidità.

Chi può partecipare alla creazione dei fondi pubblici?

Ritorniamo, ora, ad A.D. che, ricordiamo, fissa, come proprio compito, quello di “considerare il patrimonio immobiliare pubblico come una risorsa strategica per la creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e per la collettività. “ qui entra in gioco la città e il ridisegno delle sue parti.

Ai Fondi pubblici possono partecipare anche soggetti privati per una quota compresa entro il 49% del valore totale. I Fondi sono patrimoni collettivi costituiti con i capitali versati dai singoli investitori. Sono proprio i fondi pubblici a “ veicolare” la dismissione del patrimonio degli Enti pubblici. Liberare immobili dalle destinazioni originarie e trovare, per loro, una nuova funzione che effetto comporta sulla trasformazione della città considerando anche il “ peso” dei privati nella costruzione del Fondo?

Quando SCuP incontra FIP

In realtà le cose sembrano andare proprio così. Questo è accaduto a SCuP: l’edificio occupato a Roma dietro la Basilica di Santa Croce che sgomberato il 25 gennaio ha visto interrompersi una intensa attività di “cura “ verso il quartiere (municipio IX) e chi lo abita che , proprio in quei locali finalmente “riabitati” ha visto, in meno di un anno, nascere palestre popolari, un mercato biologico, un mercato del baratto, la creazione di vari corsi, trasmettere una radio, l’apertura di un biblioteca (oggetto scomparso da quel quadrante urbano) e soprattutto costruire intorno la coesione e l’entusiasmo di una comunità che vuole uscire dalla solitudine e la miseria in cui si vorrebbe rinchiudere.

Ma SCuP, prima di diventare tale, era un altro individuo edilizio che, inserito nel disegno del Piano Regolatore del 1962, giaceva abbandonato circondato dal degrado e misurato, giorno dopo giorno , dalle possenti ombre delle confinanti mura urbane. Perché si era ridotto così?

Come sono andate le cose?

L’immobile di via Nola 5, proprietà dello Stato e sede della Motorizzazione Civile, nel 2004 viene inserito, dall’Agenzia del Demanio, nell’elenco delle proprietà pubbliche da trasferire al FIP – Fondo Immobili Pubblici .

Il FIP diventa proprietario del Portafoglio, che comprende 394 immobili ad uso non residenziale occupati principalmente dal MEF, enti previdenziali e altri enti statali. Gli immobili sono stati trasferiti al Fondo tramite conferimento e vendita con decreto del MEF.

FIP stipula un contratto di locazione (9+9) con l’Agenzia del Demanio che a sua volta rende disponibili gli immobili alle singole pubbliche amministrazioni che continuano ad utilizzarli

Il FIP, per la costituzione del fondo, si è avvalso di un prestito iniziale pari a 2 miliardi di euro. L’immobile di via Nola fa parte di questo pacchetto.

Chi vende?

Il Fondo lo acquisisce, pagandolo alla fine del 2004, e contemporaneamente stipula un contratto di locazione con l’Agenzia del Demanio, per un importo lordo annuo di €.323.322,00.

Il bene viene poi assegnato in uso dalla stessa Agenzia agli utilizzatori, ovvero alla Motorizzazione Civile.

Il FIP affida la gestione del Fondo alla Società Investire Immobiliare SGR S.p.A, che nomina REAG – Real Estate Advisory Group, società dell’American Appraisal Group, esperto indipendente per stabile il valore totale del compendio immobiliare.

REAG ha valutato il Portafoglio per un ammontare complessivo pari a 3,7 miliardi di euro, che, considerando il ribasso del 10% applicato al FIP, è sceso a 3,3 miliardi di euro.

La SGR spa è stata costituita dalla Banca FINNAT EURAMERICA nata nel 1998 e che nel 2003 con la incorporazione in Terme Demaniali Acqui vede crescere il proprio patrimonio e il proprio campo “ operativo”.

Chi compra?

A marzo del 2010, la società F&F IMMOBILIARE srl trasmette alla società Investire Immobiliare SGR S.p.A l’intenzione di acquisire l’immobile. Intenzione evidentemente presentata non come società che al tempo non era stata ancora costituita (la costituzione di F&F in forma societaria avverrà solo in data 26, maggio 2010).

Il mese successivo il FIP comunica all’Agenzia del Demanio, che in quanto locataria ha diritto di prelazione, di voler vendere l’immobile. L’Agenzia comunica di rinunciare a tale diritto.

F&F presenta a giugno la propria offerta di acquisto che da SGRspa. viene giudicata congrua e accolta .

La società che acquista l’immobile è la F&F IMMOBILIARE, costituita, come ricordato, in corso di predisposizione di trattativa, con sede legale via Guido d’Arezzo 18 a Roma . L’amministratore unico è Fiorella Pagliuca e socio Fernando Morelli. I due “anziani” signori formano la società versando come capitale sociale quello minimo previsto, pari a € 10.000,00.

Quanto paga?

L’atto di compravendita, per un importo di € 4.700.000,00 viene stipulato dal Notaio Papi nel dicembre del 2010.

Il contratto prevede che per due anni ancora, cioè fino al giugno del 2012, l’Agenzia del Demanio paghi per l’affitto dell’immobile l’ importo lordo annuo di €.323.322,00 alla nuova proprietà.

Il grande edificio, con una superficie lorda di 2.507,70 metri quadri, resta vuoto per essere utilizzato forse come archivio, dalla Motorizzazione Civile.

Facciamo un rapido conto.

Proviamo a fare una prima valutazione dell’immobile utilizzando la Banca Dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia del Territorio, che è una sezione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’edificio è situato in una zona di Roma definita Semicentrale, zona C7, microzona 26. I valori di vendita ufficiali, riferiti al primo semestre del 2011, (ricordiamo che la stipula dell’atto risale al dicembre del 2010) per un immobile con destinazione “terziario” vanno da un minimo di € 3.700 ad un massimo di € 5.000 al metro quadro.

La società F&F IMMOBILIARE ha pagato l’immobile € 1.874,75 al metro quadro, molto al di sotto seppure del valore minimo della zona secondo i dati ufficiali del MEF.

Sarebbe utile conoscere quale fosse il valore attribuito a quel bene dalla SGR, (si conoscono solo i dati aggregati dell’intero compendio) e quanto corrisposto al MEF per la sua dismissione.

Sappiamo sicuramente, però che per sette anni e mezzo, ovvero per 90 mesi, l’Agenzia del Demanio ha pagato per l’utilizzo (ma quale utilizzo?) di quell’immobile un totale di € 2.424.915, dei quali € 484.983 sono entrati, dalla stipula del rogito, nella disponibilità della società F&F IMMOBILIARE.

L’Agenzia del Demanio per quell’immobile ha pagato € 19,35 al metro quadro per mese di locazione, quindi un prezzo congruo, se si fa riferimento sempre ai dati dell’Agenzia del Territorio.

Infatti il valore della locazione andava da un minimo di € 15,5 ad un massimo di € 21 al metro quadro per mese, per quella zona, per quel periodo.

Il quadro può essere, alla luce di queste prime considerazioni, così sintetizzato: l’acquirente non solo ha fatto un ottimo acquisto, acquisendo al di sotto del prezzo di mercato un bene che, non solo ha una destinazione forte (terziario cioè servizi), ma può venire ampliato in deroga ad ogni disposizione di PRG, grazie al Piano Casa della Regione (più 30% di superficie utile), e ha “spuntato” un canone d’affitto assolutamente in linea con quanto fissato dal mercato, tanto che il Demanio ha corrisposto per un ufficio in sonno (destinato ad archivi) 1.939.932 euro al Fondo e ben 484.983 all’acquirente, cifre che entrambi i soggetti aggiungono ai loro utili.

Fin’ora chi ci guadagna?

Non di certo lo Stato che ha pagato, attraverso A.D. l’affitto per un bene sostanzialmente sottoutilizzato che avrebbe potuto evitare se si fosse trovata una sistemazione a quell’archivio e se fosse riuscito a perseguire il compito dell’ottimizzazione degli spazi.

Non di certo i cittadini chiamati a convivere per lunghi otto anni con un rudere edilizio che sfrontatamente esibiva all’interno del perimetro, rappresentato dal grigliato d’acciaio delle proprie recinzioni, larghi spazi vuoti e tanti spazi coperti di cui il quartiere risulta privo e destinato a restare tale per molto tempo.

Al “nuovo” proprietario, quando avrà finito di rallegrarsi per l’affare fatto, resta solo di scegliere il che fare e questo diventa un problema urbano.

Gli effetti sulla scena urbana

Un problema che non può essere rimandato o, peggio, lasciato alle dinamiche del mercato dato che con il federalismo demaniale anche gli Enti territoriali potranno promuovere Fondi portando in dote il conferimento di immobili e “diritti costruttivi”, mettendo nel proprio bilancio i beni che si intendono alienare e quelli da valorizzare. Anche gli Enti conferiscono beni per emettere quote e se c’è la necessità di “individuare nuove destinazioni urbanistiche per gli immobili” si può ricorrere all’Accordo di Programma . Nel caso di un Comune il Consiglio Comunale approvando il piano delle dismissioni contestualmente alzerà il disco verde per la necessaria variante.

L’esperimento di ScuP ha dimostrato la possibilità di ridisegnare la città attraverso un percorso diverso: la messa a reddito sociale di questi immobili.

Una sorta di anticipazione, per restare a Roma, di contenimento rispetto quello che potrebbe accadere, se il paradigma della vendita di SCuP, fosse replicato in modo pedissequo, per la valorizzazione (sic) del patrimonio immobiliare rappresentato dalle caserme.

SCuP ha espresso un progetto (una vera e propria variante di piano) e una risposta alla preoccupazione portata dallo stesso Direttore dell’Agenzia del Demanio (novembre 2012 Bologna Convegno Urbanpromo) Stefano Scalera: “lo “Stato proprietario” (meglio, si dovrebbe dire la “repubblica italiana proprietaria”) ha un’ottica profondamente diversa da quella del proprietario privato; di norma, l’obiettivo primario di quest’ultimo è la massimizzazione del profitto; il proprietario pubblico deve contemperare questo aspetto con varie finalità, la cui principale è quella di creare valore sociale “

Se il bene deve dare vita a “processi di riqualificazione urbana e tutela del paesaggio” (ancora le parole di Stefano Scalera) è evidente che a questo processo gli immobili ex pubblici sono chiamati a partecipare nella doppia veste sia di “nuovi” edifici che di “memoria” di funzioni da ricollocare nel tessuto cittadino.

Il Diritto alla città non può essere ostacolato da questi immobili che, invece di derivare da scelte legate alla costruzione delle condizioni dell’abitare per i più, smaterializzandosi nelle mani di pochi in quote finanziarie, introducono elementi di tossicità per continuare a far precedere, continuando il disastro di sempre, il costruire all’abitare.