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Comunicati Stampa

ROMA: RICERCATORI IRROMPONO IN SEDE PD. USB, NO A LICENZIAMENTI E SMANTELLAMENTO ENTI

Roma,

Alcune decine di lavoratori dell’INEA e del CRA, enti di ricerca pubblici in campo agricolo ed alimentare, stanno occupando la sede nazionale del PD, in via Sant’Andrea delle Fratte a Roma, per protestare contro lo smantellamento della ricerca pubblica nel settore ed i 210 licenziamenti annunciati entro fine anno.

 

L’articolo 32 della legge di stabilità chiude infatti l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) e sovraccarica il CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) di un debito circa 22 milioni di euro, prodotto non dai lavoratori, ma da 8 anni di gestione dell’ex DG Manelli, oggetto peraltro di indagini da parte della Magistratura.

 

“Renzi e la sua legge di stabilità producono i primi licenziamenti nella Ricerca”, spiega Claudio Argentini, dell’USB P.I. Ricerca che sostiene la protesta. “Sono tutti precari storici, ad alta professionalità,  e sono solo i primi.  Prevediamo infatti che i tagli contenuti nella norma e lo stato di indebitamento dell’INEA produrranno altri 300 licenziamenti nel CRA, e sempre di precari storici ad alta professionalità".

 

“E’ possibile che il partito che nel 2008 attaccava Brunetta per i licenziamenti dei precari oggi accetti che il governo, con il suo segretario come premier, si comporti nello stesso modo? Cosa è successo al ministro Madia – domanda ancora il dirigente USB - che da parlamentare scriveva interpellanze a favore del personale INEA ed oggi fa parte di un esecutivo che vuole licenziare quegli stessi lavoratori? Dove sono tutti i parlamentari del PD che durante il dicastero Tremonti si indignavano per la chiusura degli Enti di Ricerca? Chi urlava contro la Gelmini intende oggi votare provvedimenti del tutto analoghi?”.

 

“Per questo siamo qui a protestare, per spingere la Direzione nazionale del PD ad aprire una discussione e ritirare le norme. Questo governo, con le sue politiche sulla Ricerca e su tutto il mondo del lavoro, rischia di riportare il Paese indietro di un secolo”, conclude Argentini.