Sentendo la prima frase pronunciata dal neo-eletto governatore nel suo discorso di investitura alla guida della Regione Sardegna, Professor Pigliaru: “ I cittadini sardi dovranno prepararsi ad affrontare nuovi sacrifici “ verrebbe da ripetere quanto ebbe a dire quel nobile francese allorchè un lunedì mattina si preparava per essere ghigliottinato: “comincia male la settimana”. E comincia veramente male questa la legislatura se come prima cosa i sardi devono sentire che tocca loro “affrontare ulteriori sacrifici” viste le condizioni in cui versano. E’ questa una frase che sentiamo ripetere ora a mò di ammonizione, ora per incoraggiamento da anni e da anni vediamo progressivamente regredire le nostre condizioni di lavoro, di stato sociale mentre cresce la disoccupazione, la povertà e perfino l’indigenza. E a dirlo non siamo noi, ma perfino l’ISTAT non può fare a meno di certificarlo e non può essere diverso visto che interi apparati industriali sono stati smantellati i residui sono in procinto di essere dismessi, senza un programma alternativo che li sostituisca o li riconverta. In cinque anni il fabbisogno di corrente è diminuito del 28 per cento per le difficoltà di interi settori industriali, scrive Franchini sul Sole 24 ore : “Negli ultimi cinque anni la Sardegna ha spento la luce. Un calo dei consumi energetici progressivo che, dal 2008 al 2013, ha causato una perdita del 28,85 per cento. Luci spente sulla crescita, specchio di una crisi senza precedenti. Se si considera che il dato dei consumi energetici è sempre stato adoperato come uno degli indici fondamentali per misurare lo stato di salute del sistema economico, si può dedurre, senza necessità di scorporare i dati, che la crisi dell’industria è irreversibile: se si passa dall’utilizzo di 13.018 gigawattora a 9.262 il motivo è la quasi cancellazione dell’apparato industriale sardo. E del resto le ultime statistiche relative proprio ai consumi di energia nelle imprese attestano che in un solo anno, (tra il 2011 e il 2012, ultimo dato ufficiale disponibile), le aziende sarde hanno consumato l’8,3 per cento in meno”. L’industria sarda (frutto di una industrializzazione cervellotica ed approssimativa) era un’industria nata già obsoleta ed altamente inquinante fatta di chimica di base (Ottana, Porto Torres) ideata e costruita più per produrre profitti che per soddisfare bisogni: (il caso Rovelli resterà negli annali degli scandali italiani). Le miniere di carbone sono tenute in stato di coma permanente: Si attende che sia Bruxelles a dire la parola fine, mentre macchinari rimangono inutilizzati, si estrae carbone che rimane invenduto nei piazzali.
Le crisi, è risaputo, tendono a travolgere gli anelli deboli del sistema capitalistico, e questa crisi ha travolto il sistema manifatturiero sardo. Nell’articolo citato Franchini dice “ Il calo dell’attività economica in Sardegna ha avuto riflessi importanti sul livello di occupazione e sulle difficoltà crescenti delle famiglie; elementi che si traducono in un caso che potrà avere gravi effetti strutturali: l’emorragia di capitale umano che sta avvenendo con la nuova ondata di emigrazione.”
Se questo era lo scenario quale sarebbe stato il compito di una Giunta regionale, una giunta che godrebbe sulla carta di una autonomia ben maggiore rispetto ad altre visto che governa una Regione a Statuto speciale derivante dal fatto di essere (ancora)! Regione Autonoma? (Stiamo parlando della precedente Giunta, quella a guida Cappellacci). Si sarebbe dovuta dare un piano industriale e conseguentemente un piano energetico come primo passo per capire quali passi compiere oltre che una politica dei trasporti per ridurre il gap derivante dal fatto di essere un’isola, ed invece si è assistito ad uno diluvio di dichiarazioni roboanti riguardanti l’autonomia e perfino alla farsa di un voto in aula dove si proclamava l’indipendenza col risultato della paralisi per quanto riguardava politiche del lavoro, industriali ed energetiche. Si è assistito (malgrado la Sardegna produca il 130% dell’energia che consuma) al proliferare di pale eoliche, di serre fotovoltaiche e il tutto per il beneficio della più grossa speculazione energetica che si sia mai vista. Ci è toccato assistere perfino alla farsa del GALSI: il metano algerino che doveva arrivare e che poi gli algerini decisero di non vendere, in ogni caso qualcuno ci ha fatto il suo guadagno, visto che i progetti erano stati fatti.
C’è poi la chimica verde di Porto Torres: un mostro che dovrebbe essere alimentato con cardi selvatici (solo che per alimentarlo ci vorrebbero due volte la superficie della Sardegna e tutta seminata a cardi).
Essendo questo lo scenario i sardi non possono sentirsi dire che “altri sacrifici li attendono”. Vogliono sapere perché devono farli questi sacrifici. “di vedere la luce in fondo al tunnel” sono oramai stanchi e vogliono risposte concrete, che partano da una seria riflessione su quei disastri che sono stati fatti e che ci hanno portato a questo punto.
Hanno bisogno di politiche nuove, di politiche che partano dai bisogni e dalle esigenze delle persone e non imposte da gruppi di oligarchi e sceicchi.
Per il resto possiamo dire che: abbiamo già dato!