Una levata di scudi si è alzata contro il salario minimo, che dovrebbe essere stabilito per legge a 9 euro lordi. Associazioni datoriali, sindacati concertativi e partiti (tranne il Movimento 5 stelle che presenta la proposta di legge) parlano la stessa lingua: troppi costi, insostenibili per Stato e imprese.
A nessuno sembrano importare i costi economici e sociali, questi si davvero insostenibili, che i lavoratori continuano a subire.
In base all’analisi di Eurostat, in Italia il 12% della popolazione è sotto la soglia di povertà pur avendo un lavoro, spesso anche due. Questo perché dalla crisi ad oggi, le scelte politiche e di mercato hanno portato ad un arretramento dei salari e a forme sempre più subdole di cattivo lavoro. Esternalizzazioni, part time imposti, contratti intermittenti o a chiamata permettono ai datori di eludere i contratti nazionali, abbassando la retribuzione, cancellando diritti e sicurezza sul lavoro.
In Italia, 3 milioni di lavoratori hanno contratti precari, nella Tuscia un lavoratore su tre è soggetto a questo tipo di contrattazione.
Il 60% di questi contratti è illegittimo, in quanto nasconde un lavoro full-time, subordinato inquadrato in modo atipico per non assicurare il lavoratore o per sfuggire ai controlli sulla sicurezza del luogo di lavoro, obbligo del datore. La diffusione di queste forme di cattivo lavoro ha un effetto primario sul reddito dei lavoratori che, nonostante svolgano più di un lavoro, non arrivano a fine mese e non sono in grado di affrontare spese impreviste (comprese le cure mediche che, nella città di Viterbo, sono sempre più inaccessibili e privatizzate). Diminuisce l’importanza specifica del singolo lavoratore nelle logiche di mercato. Questo può essere rimpiazzato facilmente, qualora reclami i suoi diritti, a costo uguale, ma per lo più a costo inferiore.
Cgil, Cisl e Uil, così come già fatto con la legge che voleva stabilire la soglia delle 35 ore settimanali, si oppongono al salario minimo per legge, sostenendo l’importanza della contrattazione. Salvo poi non occuparsi minimamente del tema, proprio come negli anni 90.
I settori del commercio, delle cooperative sociali e sanitarie, del turismo, dell’agricoltura, della logistica sono ben al di sotto della soglia dei 9 euro. Ad ogni accordo di secondo livello sottoscritto, i minimi retributivi si riducono, così come le maggiorazioni su lavoro festivo, straordinario e notturno.
Non siamo più disposti a lavorare, producendo profitto per le aziende, per poi morire di fame.
Il salario deve essere sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
L’Usb esorta il governo a non indietreggiare, non è più rimandabile l’approvazione di una soglia minima sotto cui sia illegale lavorare.
Per questo, il prossimo venerdi, 28 giugno, in tutta Italia, il sindacato scende in piazza.
Nella Tuscia saremo di fronte l’Inps, dalle 9.00 alle 12.00, per reclamare il diritto ad una retribuzione degna.