Da anni i dipendenti pubblici sono sottoposti ad un attacco senza eguali nella storia del nostro Paese.
Si è passati dal dileggio (la campagna sui fannulloni), al blocco pluriennale di ogni aumento contrattuale; dalla riduzione dei buoni-pasto al taglio del 30% del salario accessorio, fino all'inasprimento dei regolamenti disciplinari ed alle ricorrenti minacce di esubero, mobilità e cassa integrazione.
L’approccio demagogico e strumentale della politica al tema della soppressione delle Province, ne è la cartina di tornasole.
La spending review ha tagliato risorse enormi a tutti gli Enti Locali mettendo in forte discussione il livello e la qualità dei servizi all’utenza ed esponendo molti di essi al rischio di dissesto.
Ormai forte è la difficoltà so
fferta dai lavoratori delle Province e di tutto l'indotto che da due anni sono esposti alla minaccia di vedere cancellati i loro Enti di appartenenza.
Infatti già molte Province sono commissariate sin dal 2012, complice il primo decreto legge dell’estate 2011, che ne stabiliva l'abolizione: decreto che poi è stato “congelato”.
Ad oggi le prospettive sono ancora molto incerte. L’ipotesi di accorpamento per alcune Province e la trasformazione in Città Metropolitane per altre a partire dal 1° Gennaio 2014, paiono difficili da realizzare e confermano un quadro indefinito e preoccupante.
Così come sono incerti i presunti risparmi, del tutto risibili, rispetto a quelli ottenibili nei più consistenti centri di spesa delle amministrazioni centrali (a partire dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri), come ormai dimostrano diversi studi di settore.
Ciò nonostante il personale delle Province sta continuando, con grande senso di responsabilità, a far funzionare i servizi e le funzioni erogate all’utenza, pur se in condizioni limite. Ne sono un esempio la Provincia di Monza che non è in grado di assicurare il carburante per i servizi di viabilità, la Provincia di Padova che taglia risorse e riduce l’assistenza ai disabili - ciechi/sordomuti - o altre realtà che hanno contratto al minimo le funzioni di vigilanza, così importanti per la salute ambientale.
Ma per quanto potranno ancora reggere? Quali attribuzioni resteranno alle Province e quali altre, tra quelle delegate, torneranno alle Regioni? Chi si occuperà della viabilità? Chi dell’edilizia scolastica o della tutela dell'ambiente e dei rifiuti o dei servizi sociali?
A chi faranno capo la pianificazione territoriale, quella sul trasporto pubblico, o la gestione dei centri per l'impiego, la formazione, la protezione civile, la caccia e pesca, le funzioni di Polizia Provinciale e, non ultima, l’assistenza ai Comuni?
Purtroppo delle funzioni pubbliche ci si ricorda solo in caso di bisogno: come quando nevica, o, in caso di calamità naturale, quando si chiede ai Lavoratori di prestare servizio in condizioni estreme e spesso senza la possibilità di vedere retribuiti nemmeno gli straordinari.
In molti ambiti si ipotizza la diffusione di agenzie private per la gestione dei Centri per l'impiego e della Formazione Professionale: strutture queste, appetibili anche ai patronati sindacali, per la ragione che comunque andrebbero finanziate dal servizio pubblico pur creando, in certi casi, duplicazioni e sovrapposizioni.
Gli odierni Soloni dell’economia, ispirati dalla lettera che la Banca Centrale Europea inviò al Governo Italiano nel 2011, hanno però dimenticato di chiarire che fine toccherà ai circa 60.000 Lavoratori delle Province. Hanno volutamente dimenticato di precisare che tutta l’organizzazione dello Stato (dall’unità nazionale in poi) è impostata su base provinciale e che togliere una tessera di questo mosaico rischia di far collassare l’intera struttura amministrativa centrale e locale.
Per questo occorre resistere alle politiche europee distruttive. Occorre eliminare il pareggio di bilancio in Costituzione. Non è possibile ripensare l’organizzazione complessiva dello Stato in modo sommario e demagogico, vanificando completamente il ruolo delle sue funzioni locali e sociali ed eliminando, di fatto, la partecipazione alle scelte collettive.
Le funzioni di area vasta debbono continuare ad esistere: siano allora le Regioni a prenderle in carico assieme a chi ci lavora.
USB da mesi sta organizzando una forte resistenza nei confronti di queste ipotesi. Le lotte più generali che stiamo mettendo in campo, in risposta all’acutizzarsi della crisi economica e sociale, intrecciano anche la vicenda delle Province e delle Città Metropolitane. Per questo è necessario dar voce al protagonismo dei Lavoratori e delle Lavoratrici di questi enti a partire dalla