al 2008 a oggi si è abbattuto sul pubblico impiego un autentico tsunami che ha inciso profondamente sulla vita personale e professionale dei pubblici dipendenti.
Aumento dell’età di pensionamento delle donne, revoche forzose di part-time, blocco degli stipendi, tagli sui trattamenti pensionistici, riduzioni sui trattamenti di fine rapporto e blocco delle assunzioni sono alcune delle misure più pesanti adottate.
Di fronte a questi disastri appare incredibile il silenzio assordante e complice dei sindacati CISL, UIL, CONFSAL e UGL i quali, all’occorrenza, sottoscrivono accordi proposti unilateralmente dal Governo, in nome di promesse di retribuzioni aggiuntive per merito e produttività. Spesso per assicurare la loro sopravvivenza si affidano a qualche sotterfugio di basso cabotaggio come quello di promuovere ricorsi giudiziari, dimostrando una certa fantasia nel cercare di raccattare qualche tessera approfittando della residua credulità di qualche dipendente pubblico.
Mentre dalla Gran Bretagna alla Grecia i sindacati si sollevano, in Italia restiamo il solo sindacato legato al ruolo storico di rappresentanza degli interessi dei lavoratori.
I fatti ci danno ragione: solo i tagli sono certi, la remunerazione della produttività aggiuntiva –da anni elargita dai lavoratori senza ricevere nulla in cambio- non esiste, giacché impietosi tagli si abbattono sul pubblico impiego ad ogni manovra.
Alleghiamo un articolo sulla recente manovra estiva del Sole 24 Ore dal titolo eloquente: “Agli Statali solo tagli e promesse”. Anche il giornale della Confindustria ci da ragione.
Invitiamo i lavoratori a chiedere ai signori sindacalisti concertativi di fornire qualche giustificazione: vi parleranno della crisi, giustificando così la parte datoriale e dimostrando che hanno rinunciato a fare sindacato.