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TFR / TFS: si continua a pagare il pizzo. Ma questa volta i soldi sono dei lavoratori non delle banche!

Nazionale,

 

 

Con la delibera 219 del 9/11/2022 il C.d.A. dell’INPS, accogliendo le indicazioni contenute nella relazione programmatica del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza, decide di “destinare parte delle risorse del Fondo Gestione Unitaria delle Prestazioni Creditizie e Sociali ex-INPDAP al pagamento delle anticipazioni del TFR/TFS spettanti ai dipendenti pubblici”; provvedimento che entrerà in vigore dall’1/02/2023.

Ancora una volta i vertici dell’Istituto assumono decisioni sull’utilizzo delle risorse accantonate con il contributo dello 0,35% e dello 0,15%, versato rispettivamente dai dipendenti pubblici e dai pensionati della PA al Fondo delle Prestazioni Creditizie, senza che ci sia stato alcun confronto con la rappresentanza dei lavoratori.

Una modalità che la USB PI ha già denunciato in altre occasioni e che tuttavia, ancora una volta, non sembra aver ricevuto la giusta attenzione, vista la totale assenza di informazioni sul nuovo provvedimento.

Questa nuova decisione interviene sull’erogazione del TFS/TFR, oggetto del confronto avuto tra la USB Confederale ed il Governo, cosiddetto “giallo verde”, sulla riforma del sistema pensionistico.

Occasione in cui la USB ha ricordato che il TFS/TFR dei dipendenti pubblici è “salario differito”, come molte sentenze della Corte Costituzionale hanno affermato, e deve quindi essere erogato nel rispetto della legge istitutiva dell’indennità (DPR 29 dicembre 1973 art.26): “la effettiva corresponsione dell’indennità immediatamente dopo la   data   di cessazione dal servizio e comunque non oltre quindici giorni dalla data medesima...” ritenendo già  punitiva la modifica introdotta  dall’Art.3 comma 2 del DL. 28 marzo 1997, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 marzo 1997:

“Alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l’ente erogatore provvede decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro...”

Norma che viene oggi richiamata nella delibera del C.d.A. dell’INPS che però dimentica di citare la legge istitutiva dell’indennità.

E’ alquanto bizzarro quindi che le OO.SS. che siedono nel CIV dell’INPS, a partire da CGIL, CISL e UIL, invece di  battersi per il ripristino della norma originaria, si adoperino per far pagare ai dipendenti pubblici in pensione un interesse, anche se inferiore a quello praticato dalla banche, per poter ricevere quel “salario differito”, sancito dalla Consulta, costituito dall’accantonamento del TFS/TFR.

Se è vero che i provvedimenti dei governi Monti/Fornero e Letta hanno fatto strage delle precedenti norme a partire da quella del 1973 sui tempi di erogazione, e con il DPCM 51/2020 si è disciplinato il cosiddetto anticipo bancario, non è accettabile che in un momento in cui si discute del superamento della ”Legge Fornero” le OO.SS. che siedono nel CIV dell’INPS confermino di fatto tali disposizioni, accettando la logica che per accedere ad un sacrosanto diritto i lavoratori debbano pagare un “pizzo”, seppur ridotto rispetto a quello corrisposto alle banche.

Si realizza così il paradosso che, dopo aver versato la contribuzione utile ai fini del TFS/TFS, i lavoratori potranno ricevere subito il “loro salario differito”, che gli spetterebbe di diritto 15 giorni dopo, chiedendo un prestito al Fondo del Credito che preleverà le risorse a copertura di tale operazione utilizzando quanto accantonato con il versamento dello 0.35% e dello 0,15% da parte degli stessi lavoratori.

In sintesi, i lavoratori pagano per il TFS/TFR, pagano per il Fondo del Credito, e poi pagano un interesse per ricevere come prestito dal Fondo il TFS/TFR per cui hanno già versato i contributi di legge.

Sembra un perverso gioco dell’oca dove i soli perdenti sono i dipendenti pubblici.

Un provvedimento di questo tipo determina inoltre un’inaccettabile disparità di trattamento tra dipendenti pubblici iscritti al Fondo del Credito e quelli che invece non risultano iscritti, che rimangono esclusi, aumentando ancora di più la deleteria frantumazione categoriale del sistema previdenziale, che certamente deve essere oggetto di una profonda riforma, a partire dal più semplice degli interventi con l’abrogazione delle norme relative al Trattamento di Fine Rapporto varate dai Governo Monti/Fornero e Letta ed il ritorno alla legge istitutiva dell’Indennità.

La USB invita pertanto il Presidente ed il C.d.A. dell’INPS a tornare sulla loro decisione, a revocare la delibera 219 e ad aprire un confronto su come viene gestito il Fondo del Credito e sulla scelta relativa all’utilizzo delle risorse.