Non più di un anno fa, allo scoppio della pandemia, in molti affermavano che dopo il Coronavirus il mondo non sarebbe stato più lo stesso, che sarebbe stato necessario costruire una nuova normalità in grado di coinvolgere le persone in modo inclusivo anche nel rispetto delle differenze, per uno sviluppo sostenibile, con attenzione all’uguaglianza di genere e persino per un lavoro dignitoso.
Ci sembra tuttavia che gli ultimi avvenimenti facciano pensare che nulla è cambiato.
A partire dal rinnovo del contratto di espansione in TIM, vecchio metodo per risparmiare sul costo del lavoro. Senza addentrarsi nel dettaglio dei tagli in questi ultimi 10 anni, riteniamo sia sufficiente analizzare quest’anno di pandemia, in cui l’azienda ha risparmiato milioni di euro, diretti e indiretti, a seguito della chiusura delle sedi, del mancato pagamento dei buoni pasto e nell’assicurarsi i finanziamenti pubblici per i corsi di Formazione Nuove Competenze finanziati da FNC e per la digitalizzazione (PNRR Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
E sorvolando anche sulla gestione delle votazioni assembleari, alle quali hanno partecipato pochi e selezionati fedelissimi. Sappiamo bene che la partecipazione dei lavoratori a queste tornate assembleari è spesso molto bassa, non solo per la rassegnazione che da anni sembra essere scesa come un manto grigio su di loro ma anche, a nostro parere, per la totale assenza di confronto e contraddittorio reale che, anche quando apparentemente possibile, viene ostacolato per sottrarsi a fastidiose comparazioni dei pro e dei contro all’accordo.
Non è cambiata quindi la “democrazia rappresentativa” che è rappresentativa solo di una élite sindacale che firma accordi per perpetuare se stessa.
Meglio un’informazione unidirezionale che perpetua con pervicacia scelte politiche già viste dal 2010, che chiedono ai lavoratori ulteriori sacrifici (altri 2 anni di CDE), come unica leva a quanto pare conosciuta per garantire la sostenibilità finanziaria dell’azienda, in luogo di una progettualità industriale, da tempo assente.
Non è cambiata insomma la pessima abitudine di scaricare i costi sulle spalle dei lavoratori per “Favorire le imprese”, rinforzare il potere dei sindacati di comodo e per garantire profitti e dividendi agli azionisti.
Non è cambiato l’utilizzo fallimentare degli ammortizzatori sociali, ancora più grave alla luce della pandemia in corso. Ammortizzatori che sarebbero stati magari più utili ai lavoratori delle società di servizi (ristorazione, pulimento ecc.) che lavorano per la TIM e che in questa emergenza hanno realmente subito un arresto dell’attività.
E in prospettiva non si preannuncia niente di buono, se si leggono le ultime dichiarazioni di DRAGHI sull’imminente nuova riforma del lavoro e ammortizzatori sociali per capire che sono in perfetta continuità con quella avviata dalla coppia Draghi-Trichet nel 2011, concretizzata da Monti e Fornero, integrata da Renzi con tanto di Jobs Act e salvaguardata da tutti i governi successivi.
Per noi di USB l’etica non è una parola vuota ma una base concreta per cambiare rotta, partendo dalla tutela dell’occupazione, dalla riduzione dell’orario di lavoro generalizzato a parità di salario e dall’introduzione del salario minimo per evitare gare al ribasso per le ditte appaltatrici.